parole parole parole

Insonne per scelta

Cose che preferisco al dormire

Correre.
Mangiare chicchi d’uva.
Tutto ciò che di simpatico si fa a letto, tipo le parole crociate o Topolino quando stai male (ma solo se te li compra spontaneamente qualcuno che ami).
Cucinare.
Nuotare nell’acqua da fresca a freddina.
Salire sulla vetta di una montagna, con un percorso ad anello.
Scrivere a mano.
Partire, ma non fare i bagagli.
Tutto ciò che di bellissimo si fa a letto, tipo leggere libri belli con due cuscini dietro la schiena.
Bere tè.
Bere tisane, infusi, caldissimi.
Andare alle mostre belle e passare il dito sui prespaziati quando le spiegazioni sono particolarmente curate.
Scrivere a mano a qualcuno che non esiste ma invece sì, da 22 anni.
Bere birra: chissà perché i francobolli invece no.
Fare citazioni di nicchia ma pure popolari, e poi non spiegarle.
Ascoltare La lingua batte e ripromettermi di appuntarmi qualcosa citato nella puntata una volta rientrata dalla corsa e poi non farlo mai.
Essere indulgente con me stessa, più di un tempo.
Parlare a lungo con mia sorella.
Uscire con gli amici e a un certo punto della serata estraniarmi per guardarli “da fuori” e pensare Siete fantastici e poi non dirglielo mai.
Andare agli eventi, indossando il badge col mio nome.
Andare alle presentazioni da sola, sedendomi in prima fila e ascoltando tutto.
Internazionale.
Internazionale a Ferrara.
Le mura di Ferrara.
Il Po, persino.
San Luca da tutti gli angoli, e ancora ne scopro di inediti.
Rileggere qualcosa di scritto molto tempo prima e non trovarlo poi così male.
Andare in biblioteca.
Entrare in biblioteca senza idee e uscire con 3 libri e 32 denti di sorriso.
La Sentina.
Città Sant’Angelo e i suoi abitanti, che si chiamano angolani.
Il dialetto angolano, che non so parlare.
Il serbocroato, che so parlare ma non scrivere (bene).
Il precoce bilinguismo.
Biskupija.
Prendere il traghetto.
Prendere l’aereo.
Andare in bicicletta, a Bologna.
Ciaspolare, sull’Appennino.
Perdermi ma poi ritrovare il sentiero, sull’Appennino.
Raccontare di quando ci siamo persi sull’Appennino.
Dire “all’addiaccio”.
Dire “santi numi!”.
Fare complimenti a chi li merita.
Fare complimenti a chi merita incoraggiamento.
Andare al cinema, in Cineteca, a vedere film in lingua originale, coi sottotitoli.
Entrare in libreria e comprare esattamente quel libro per quella persona che festeggia qualcosa, avendoci bene pensato prima.
Azzeccare un regalo, specie se per mia sorella.
Andare all’opera, avendo (ri)letto più volte la trama.
Indossare le perle quando vado all’opera.
Fare colazione.
Stare sul balcone, immaginandolo terrazzo.
Andare al parco.
Mangiare qualcosa “col cucchiaio”.
Avere ragione.
Essere presa in giro quando ho torto.
Usare il mio bollitore.
I piccoli elettrodomestici.
Le banane.
Tutte le altre cose divertenti che si fanno a letto.
Più divertenti che dormire.

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téchne

www mi piaci tu, nuovo Internazionale

Sono stata, anche quest’anno, a Internazionale a Ferrara. Sono rimasta incantata dalla presentazione del loro nuovo sito, e vi dico perché per me dovrebbe piacervi.

È bellissimo. Come il suo giornale, del resto. Come il logo di Internazionale, ridisegnato apposta per il lancio del sito web. Una sola font, Lyon come la città francese, per tutti i testi, dai titoli agli occhielli, dal corpo dell’articolo su carta a ogni sezione del web, senza soluzione di continuità.

È un progetto progettato. Voglio dire, davvero. Con un inizio, un lancio, una evoluzione (già prevista) di circa tre anni, step intermedi. E misurazioni, valutazioni, scelte, scommesse (il reportage! l’eliminazione dei commenti! la scomparsa dei contatori di tuit e like!).

È pensato. Nulla è stato lasciato al caso. Alle domande superspecifiche dei lettori di Internazionale presenti in Sala Estense (ricordatemi di buttarmi nell’editoria rosa disimpegnata, se nella prossima vita farò la direttrice di testata) Giovanni De Mauro ha sempre risposto Ci siamo interrogati a lungo su questo aspetto, e alla fine abbiamo deciso che…

È amatissimo. Da chi l’ha voluto, da chi l’ha pensato, da chi ha coordinato il progetto, da chi come quella gran càrtola di Mark Porter ci ha lavorato come fornitore. Dalla redazione al gran completo che era presente, compresi quelli che –ce ne sono, ne son certa– amano l’odore della carta. Perché lo sanno che del web non si può fare meno, e allora tanto vale farlo bene.

In conclusione, due note.

.prima.

Perché italia.it non è stato fatto (e voluto, e pensato, e ragionato, e progettato, e amato) così? Perché quello che si può permettere un piccolo settimanale indipendente italiano non può permetterselo l’ente turistico dell’ex prima destinazione vacanziera mondiale, paese europeo di sessanta milioni di abitanti?

.seconda.

Lo amatissimerete anche voi, prevedo.

 

La foto è di me stessa medesima, scattata su suggerimento di Ines e Giulia per festeggiare che all’ottava edizione persino quei burberi dei ferraresi han pian pianino adottato il festival più bello che c’è.

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Questa è una dichiarazione d’amore per il Festival più bello che c’è. Io a Internazionale a Ferrara mi sento come a casa. In sette anni non ho mai saltato un’edizione, mai un giorno. Mi si apre la testa, vedo un pezzo di mondo, incontro persone speciali, rivedo gli amici ma in un contesto nuovo, diverso, che ci porta in qualche modo a parlare di temi inusuali, curiosi. Passando “un weekend con i giornalisti di tutto il mondo”, ci si rende conto di quanto asfittico sia davvero il provincialismo italiano, cui ovviamente nemmeno la placida Ferrara sfugge, tranne tre giorni l’anno. Io che sono (anche) un po’ ferrarese, finalmente posso trovare un senso a questa mia ennesima identità. Sto per uscire e andare a Balcanizzazione dell’Europa. Da qualche edizione i Balcani si sono ridotti a questo, persino a Internazionale: a un paradigma. E invece tanto ci sarebbe ancora da dire sui “miei” Balcani, su quel pezzo di quella penisola che ogni tanto subisce il destino di saltare per aria (la “polveriera”, no?). Anche ieri sera è saltata la presenza invece prevista di un economista serbo, io che ero finalmente entusiasta che a essere serbo non fosse solo il proverbiale cecchino. Chissà se torneranno i miei Balcani a Internazionale, per poter riflettere sui danni ancora lasciati dalle guerre assurde degli anni Novanta del Novecento (che pessimo tempismo!). Anche se altre guerre incalzano.

La foto è mia, scattata in una vera strada di Ferrara, in un giorno in cui poi mi sono sentita triste, uno di quei 362 giorni l’anno in cui Ferrara NON è un ponte sul mondo.

fotine

Ferrara pons mundi

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giringiri

#IF2013 THEN @biljaic nel social media team

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E insomma andrò a Pisa all’Internet Festival. E lo racconterò un po’, da qui e da Twitter, Instagram e Facebook: sono nel Social Media Team di #IF2013, evviva! Avevo programmato di farci un salto in ogni caso, almeno per un giorno o due. Anche se –certo– dopo la sbornia di Internazionale a Ferrara (un evento che adoro e che non perdo mai), il più sarebbe stato trovare le energie per ripetermi a una settimana scarsa di distanza. Quando ho visto il bando per il social media team l’ho trovato così “accogliente” che ho scritto l’application di getto, in un quarto d’ora. Poiché senza che l’avessi pianificato contiene molte riflessioni su comunicazione, registri, stile, online/offline, livetweeting e annessi e connessi vari, riporto qui la mia risposta alla domanda cruciale del form per l’application:

Perché dovremmo sceglierti

Dovreste scegliermi perché non so fare livetweeting, ma so fare thinktweeting. L’anno scorso al Festival di Internazionale (bravi che non vi siete sovrapposti, quest’anno!) i ragazzi delle primavere arabe raccontavano dei loro livetweeting dalle piazze nordafricane e parlavano di dieci tweet (tuit?) al minuto per ore e ore. Pensavo “non potrei mai farcela!”. Ma lì c’era la Storia da raccontare e scrivere in tempo reale.
A me degli eventi piace sì trascrivere qualche frase captata dal palco, ma commentata, interpretata, quasi spiegata. Sono un’ottima spalla ai tuittatori compulsivi, insomma, anche se non sforno dieci tuit al minuto.

Poi dovreste scegliermi perché amo gli eventi e sono una feticista del badge col mio nome al collo. E certo questi sono problemi miei, ma la circostanza è favorevole a garantirvi un entusiasmo ai limiti del ridicolo e una totale dedizione alla causa. Se l’evento è bello (e il vostro lo è), l’euforia trapela da tutti e 140 i caratteri, da ogni pixel di foto quadrata con filtro, e persino da ogni post del bruttino Facebook…

Dovreste scegliermi perché sono una teorica e tecnica della comunicazione di massa, quella cosiddetta tradizionale e quella online, anche se il confine è sempre labile. Ho studiato Semiotica a Bologna e Marketing ad Alma Graduate School, ma soprattutto coordino progetti di comunicazione per l’agenzia Kitchen, di cui sono socia da sempre e per la quale curo in prima persona i progetti di comunicazione 2.0, dal punto di vistra strategico e poi operativo.

Dovreste scegliermi anche –non solo, ma anche– perché vivo di networking e coltivo relazioni vere e fruttuose con professionisti che lavorano in settori affini al mio, ma anche con chi ha esperienze lavorative distanti. Sono responsabile della comunicazione di Generazioni, il network dei giovani cooperatori di Legacoop Emilia-Romagna, fin dalla sua costituzione nel 2007; incarico che mi ha portata più volte all’estero alla scoperta della cooperazione europea e all’allargamento della nostra rete di contatti. Conosco, apprezzo e ammiro molti “nomi noti” nel web, che mi onorano della loro amicizia (sia online sia –fortunata!– de visu): Gianluca Diegoli, Alessandra Farabegoli, Miriam Bertoli, Massimo Dietnam Fiorio, Domitilla Ferrari, Daniele Ferrari, Luca Sartoni.

Se non fosse abbastanza, dovreste scegliermi perché scrivo bene, o almeno mi impegno a farlo più che si può. Lungi dall’essere grammarnazi (amo coltivare il dubbio più che sputare sentenze), mi piace onorare la nostra bella lingua evitando formule astruse o burocrateggianti, permettendomi il lusso –senza esagerare e senza penalizzare la chiarezza– di variare il lessico, di innamorarmi di espressioni insolite e neologismi intelligenti. So adattare il registro, amo interpretare il contesto attraverso la scrittura. Sperando quindi che queste poche righe non celino (troppi) refusi, vi assicuro che non scrivo sempre in modo così scanzonato. È una libertà che mi sono presa vista la vostra briosa presentazione alla “Ricerca di componenti per il social media team”.

Riassumendo quanto state cercando, nell’ordine:

“Appassionati d’innovazione: nuove tecnologie, nuovi materiali, cinema, web series, business Start-up, cittadinanza attiva, Big Data, hackaton, comunicazione digitale e social, didattica e l’informazione, editoria e blog.”
Direi che non manca nulla, sono i “miei” temi.

“Ricorda: con fantasia e passione ognuno potrà rendere davvero speciale il proprio contributo, ed è proprio questo che ci aspettiamo!”
Potete contarci! :-)

“Sii creativo! Le cose più belle saranno riprese e valorizzate nei profili ufficiali dell’Internet Festival.”
La prendo come una promessa.

“Attento a non ‘cinguettare’ troppo spesso o con contenuti non strettamente rilevanti: un aggiornamento troppo frequente o improprio può risultare fastidioso.”
Lo dico sempre, io. ;-)

“Racconta le cose dal tuo punto di vista, esprimi le tue opinioni, mostra la tua personalità.”
Non saprei fare altrimenti…

“Sarai una voce ufficiale. Sii professionale e amichevole quando ti trovi a contatto con i visitatori del Festival.”
Un sorriso per tutti: del resto lo faccio sempre.

“Prima dell’inizio del Festival cerca di raccogliere tutte le informazioni che ritieni utili.”
Che sono secchiona l’ho già detto?

“Mettiti nei panni del visitatore: se vedi qualcuno in difficoltà, offrigli il tuo aiuto. Non sarà sempre facile capire se una persona sta visitando il Festival o semplicemente la città, ma ricordati che chi è portavoce del Festival, lo è anche di Pisa.”
Sono una normalista mancata, sarà un onore raccontare Pisa.

Credo che potrò fare un buon lavoro. :-)

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Sono stata qui a vedere ascoltare ammirare Betsy Hoover. Se siete troppo pigri per cliccare sul link (i link di questo tema sono quasi invisibili e li amo da matti), è una delle digital strategist di Obama per le vittoriose campagne presidenziali 2008 2012. L’anno scorso ad Alma avevo visto ascoltato ammirato Micheal Slaby (collega di Betsy o forse suo capo, ma siamo là). Sono bravissimi. Sono preparati e anche sorridenti. Sono lucidi e interessati (entrambi hanno confessato di capire poco la politica italiana ma di aver fatto mille domande per capirci qualcosa in questi tour europei, e io gli credo). “Più sono bravi e meno se la tirano” ha commentato Alessandra con cui poi sono andata a fare due ciarle con Betsy che ci ha salutate come se ci fossimo viste già mille volte.
Non ho una foto fatta bene di Betsy perché l’iphone fa foto orrende in cattive condizioni di luce. Questo era il soffitto dello splendido Auditorium Enzo Biagi di Sala Borsa che ammiravo ogni volta che alzavo esasperata gli occhi al cielo per:
* la traduzione consecutiva fatta benissimo da Elisabetta Tola, che però fa perdere tanto tempo e spezza i ragionamenti (gli eventi in inglese s’hanno da fare senza traduzione: l’inglese si deve sapere punto e basta);
* le domande dal pubblico che invece sono interventi e contengono termini come “suggestioni” (non fate interventi, non è un barcamp: fate una domanda secca, come quella del signore che ha chiesto semplicemente “La vostra campagna social avrebbe funzionato anche per Romney?” cui è stato risposto “No, perché noi avevamo il candidato giusto”);
* la rete 3G e la rete wifi non prendevano e non potevo condividere le riflessioni belle che stavo ascoltando durante i momenti per me morti della traduzione (santinumi! potenziate quella cavolo di wifi dell’Auditorium).
Mentre io ero a Bologna con Betsy, Slaby era a Bari dal mio amico Dino, che al solito ha scritto una minicronaca ispirata, da leggere.

La foto è di @biljaic e si intravedono anche le grottesche dell’Auditorium, che resta stupendo nonostante il wifi ballerino.

fotine

Bye Bye Betsy.

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Romagna mia.

Sono stata (e ho pure parlato) al Romagnacamp. Tre giorni che durano un attimo perché si impara e ci si diverte, e due settimane quanto a beneficio per il corpo e per la mente. Da feticista dei badge (i cartellini col tuo nome agli eventi: li venero, li annuso, li amo), sentenzio che il convegno stile soviet o minculpop (par condicio) è morto, almeno per me. Basta “Sarò breve”, fine del “Non faccio proprio una domanda ma una considerazione”. Viva gli eventi light, in cui gli organizzatori scrivono “siete abbastanza grandi per cavarvela da soli”. Eventi senza orpelli, tutto arrosto e niente fumo. Siamo una generazione che forse ha meno di quelle precedenti, ma almeno possiamo scegliere quel poco che abbiamo di donarcelo, scambiarcelo, condividerlo. A me la (slide)sharing economy piace un bel po’.
foto dal luogo dell’evento, non nei pressi, ma dall’evento proprio | da @biljaic grazie a fotocamera rediviva

giringiri

Romagna mia.

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