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7 balcanici motivi per vedere la serie croata Novine | The paper

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La serie imperdibile dell’anno non è né americana né inglese. E non è nemmeno italiana. L’anno è ormai a metà, ma voi dedicatevi a guardare Novine e non ve ne pentirete. La trovate su Netflix con il titolo internazionale The paper, perché “novine” significa giornale quotidiano, e delle vicende di un giornale tratta, con una qualità che forse non ti aspetteresti da una produzione tutta croata. Chi scrive l’ha iniziata a vedere per motivi biografici, essendo nata in Dalmazia che della Croazia è la regione costiera più bella, e per noia, avendo una volta oziosamente digitato “serbocroatian” nella barra di ricerca di Netflix, poi dice che divanarsi non serve a nulla… Ma voi potete vederla anche senza avere un cognome in -ić perché le cosebelle sono universali. Ecco 7 buonissimi motivi per non perderla.

Europea, ma esotica.

La croazia è un vicino lontano, di cui sappiamo pochissimo perché i media se ne disinteressano, e che visitare una settimana d’estate non basta. Guardando Novine la si avverte esattamente così, vicina come tanti altri paesi dell’UE (dal 2014) e remota come può esserlo un luogo in cui “prima della guerra” vuol dire meno di trenta anni fa.

Dark, molto dark, e cattivi cattivissimi.

Novine racconta la vita travagliata di una redazione di giornalisti bravi e dediti, alle prese con lo strapotere di politici, poliziotti, giudici e uomini e donne d’affari dal passato sempre inevitabilmente opaco e privi di ogni scrupolo morale. Il più pulito ha la rogna, e House of cards pare un collegio di educande al confronto.

Tutti i mali del sovranismo, spiegati bene.

Soprattutto nella seconda stagione (uscita su Netflix a inizio di quest’anno) la connessione tra deriva morale e nazionalismo cieco è palese e raccontata attraverso le azioni, i gesti e le parole di personaggi eterogenei tra loro, di parti politiche avverse e di estrazioni tra le più varie. Non si scende mai nella retorica del “tutto un magna magna”, però: le contraddizioni sono mostrate in modo piano e crudo, con una sensazione di inevitabilità che mette angoscia ma tiene pure incollati allo schermo.

Fiume fotogenica.

Novine non è girato né ambientato nella scontata capitale Zagabria, ma in una città costiera e portuale che fu a lungo italiana. Rijeka d’inverno è una scenografia livida perfetta, ripresa da ogni angolazione anche con droni parsimoniosi e benevoli. Ci sono le calli del centro, i portoni socialisti di periferia, le opulente stanze del potere, le ville di design in collina, i bar dall’aria densa.

Croatian way of life, sesso fumo e alcool.

Non siamo più abituati (per fortuna) a vedere fumare ovunque, dal bar al ristorante alla casa di qualcun altro. In Novine tutti fumano e bevono (whisky, soprattutto) tantissimo, in continuazione e con voluttà disperata. Può essere utile per ricordarci che tutto sommato stiamo meglio ora che si fuma solo all’aperto, ma anche per rivedere dei gesti che da decenni abbiamo associato ai film su crimini e complotti, con gente che fuma a prescindere, ovunque, e se ne frega. Persino per i non fumatori, liberatorio.

Il serbocroato in tante sfumature, imprecazioni comprese.

Le serie (e internet) hanno compiuto il miracolo che tutte le VHS di English movie collection non potevano sperare di raggiungere. È molto bello godersi le voci originali degli attori e aiutarsi con i sottotitoli se lo slang di Boston (o di LA, o di Londra) non sono alla nostra portata. È altrettanto bello però godersi lingue di cui non capiamo quasi nulla ma che sono intimamente legate all’ambientazione che le caratterizza. Pur trattando temi universali in cui vi riconoscerete di certo, Novine è balcanica fino al midollo, e i personaggi devono parlare una lingua slava. Godetevi Novine in lingua, assaporate gli accenti (una delle giornaliste è serba e non lo nasconde), non arrossite per le parolacce e bestemmie a ripetizione, fanno parte del gioco.

La qualità sta dove si sa esprimerla.

Attori bravi, fotografia curata e chirurgica, regia sapiente del folletto pluripremiato del cinema croato Dalibor Matanić, quello di Sole alto. La realizzazione della serie è stata all’altezza delle ambizioni della produzione, e dei migliori prodotti internazionali in circolazione.
Novine parla di noi e a noi senza pretese universalistiche o pipponi morali. Lo fa perché chi meglio di un vicino lontano può aiutarci a fare quel passetto indietro per guardarsi un po’ da fuori, che è sempre tanto utile quanto difficile? Ci pare che il vantaggio valga lo sforzo di saggiare la prima puntata.

Be cool, watch The paper. O, meglio. Budite pametni, gledajte Novine.

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Insonne per scelta

Cose che preferisco al dormire

Correre.
Mangiare chicchi d’uva.
Tutto ciò che di simpatico si fa a letto, tipo le parole crociate o Topolino quando stai male (ma solo se te li compra spontaneamente qualcuno che ami).
Cucinare.
Nuotare nell’acqua da fresca a freddina.
Salire sulla vetta di una montagna, con un percorso ad anello.
Scrivere a mano.
Partire, ma non fare i bagagli.
Tutto ciò che di bellissimo si fa a letto, tipo leggere libri belli con due cuscini dietro la schiena.
Bere tè.
Bere tisane, infusi, caldissimi.
Andare alle mostre belle e passare il dito sui prespaziati quando le spiegazioni sono particolarmente curate.
Scrivere a mano a qualcuno che non esiste ma invece sì, da 22 anni.
Bere birra: chissà perché i francobolli invece no.
Fare citazioni di nicchia ma pure popolari, e poi non spiegarle.
Ascoltare La lingua batte e ripromettermi di appuntarmi qualcosa citato nella puntata una volta rientrata dalla corsa e poi non farlo mai.
Essere indulgente con me stessa, più di un tempo.
Parlare a lungo con mia sorella.
Uscire con gli amici e a un certo punto della serata estraniarmi per guardarli “da fuori” e pensare Siete fantastici e poi non dirglielo mai.
Andare agli eventi, indossando il badge col mio nome.
Andare alle presentazioni da sola, sedendomi in prima fila e ascoltando tutto.
Internazionale.
Internazionale a Ferrara.
Le mura di Ferrara.
Il Po, persino.
San Luca da tutti gli angoli, e ancora ne scopro di inediti.
Rileggere qualcosa di scritto molto tempo prima e non trovarlo poi così male.
Andare in biblioteca.
Entrare in biblioteca senza idee e uscire con 3 libri e 32 denti di sorriso.
La Sentina.
Città Sant’Angelo e i suoi abitanti, che si chiamano angolani.
Il dialetto angolano, che non so parlare.
Il serbocroato, che so parlare ma non scrivere (bene).
Il precoce bilinguismo.
Biskupija.
Prendere il traghetto.
Prendere l’aereo.
Andare in bicicletta, a Bologna.
Ciaspolare, sull’Appennino.
Perdermi ma poi ritrovare il sentiero, sull’Appennino.
Raccontare di quando ci siamo persi sull’Appennino.
Dire “all’addiaccio”.
Dire “santi numi!”.
Fare complimenti a chi li merita.
Fare complimenti a chi merita incoraggiamento.
Andare al cinema, in Cineteca, a vedere film in lingua originale, coi sottotitoli.
Entrare in libreria e comprare esattamente quel libro per quella persona che festeggia qualcosa, avendoci bene pensato prima.
Azzeccare un regalo, specie se per mia sorella.
Andare all’opera, avendo (ri)letto più volte la trama.
Indossare le perle quando vado all’opera.
Fare colazione.
Stare sul balcone, immaginandolo terrazzo.
Andare al parco.
Mangiare qualcosa “col cucchiaio”.
Avere ragione.
Essere presa in giro quando ho torto.
Usare il mio bollitore.
I piccoli elettrodomestici.
Le banane.
Tutte le altre cose divertenti che si fanno a letto.
Più divertenti che dormire.

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Sulla Drina, un ponte

Ho chiamato questo blog Most prima di leggere Il ponte sulla Drina, si vede che era destino. Perché non ho letto prima Il ponte sulla Drina? Non lo so. Eppure tanti me lo avevano nominato, non necessariamente avendolo letto. Oppure lo so. Non ho letto Il ponte sulla Drina perché era doloroso, come tutto il resto.

Il ponte sulla Drina è uno dei libri più straordinari mai letti in vita mia. I libri letti in vita mia sono sempre meno di quelli che avrei voluto, ma non sono nemmeno così pochi.

Quando un libro fai fatica a definirlo, a incasellarlo, a mettergli un’etichetta e financo a paragonarlo a qualche altro, o è un capolavoro o è una schifezza. Che siamo nel primo caso non lo dico io, lo disse l’Accademia di Svezia che a Ivo Andrić ha assegnato il Nobel per la letteratura principalmente per quest’opera grande.

(Non) è un romanzo, (non) è una cronaca, (non) è un testo storico, (non) è un’epopea. È tutto questo, e di più. E lo so che sembra una scappatoia definirlo così, ma davvero è una scatola lucente di racconto, analisi, previsione, riflessione antropologica. E –aspetto notevole per un libro uscito nel 1945– sembra scritto l’altro ieri. Da uno davvero bravo, l’altro ieri.

Che lingua, gente, che uso sapiente. Nella mirabile traduzione di Dunja Badnjević (dunja vuol dire mela cotogna, non è bellissimo?), Il ponte sulla Drina si legge con una immediatezza che mette in pace col mondo. Al terzo capitolo mi ero già pentita di non aver avuto fiducia nelle mie capacità e nella prosa di Ivo e di non averlo approcciato in serbocroato. Ma ormai non potevo più staccarmene, e aspettare di reperirne una versione in lingua originale era impensabile.

Ma pure il titolo, che finezza. Andrić ha scritto nel 1925 Il ponte sulla Žepa. Che noioso! direte voi. Niente affatto. Il titolo originale di questo è Most (!) na Žepi. Invece Il ponte sulla Drina è in realtà Na Drini, ćuprija. Quell’inversione è da brividi, e ćuprija è parola di origine turca, perché quel ponte, quel “most” fu voluto da un visir quando Višegrad –la cittadina dove succede tutto quel che è raccontato– era parte insignificante dell’Impero Ottomano, al suo massimo splendore e all’apice della sua durezza e crudeltà.

Ci ho messo tanto, a leggerlo. Me lo sono gustato. L’ho sorseggiato. Come una scemetta, ne scrivevo alcune citazioni che mi sembravano universali su Twitter. Credo che Lisa ne abbia retuittati il 95%, a occhio. Ma non fidatevi della mia scelta di frammenti. Leggete questo libro, perlamiseria! È imperdibile per ogni europeo. È il casino, è il vero melting pot, siamo noi.

Non ci sono moltissimi iugonomi e iugoparole in genere in questo post. Ma se avete dubbi sulla pronuncia c’è sempre il post ad hoc, qui

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Biljaić e altre pronunce: un post sonoro

Premessa. 1) Mai avuto una bella voce. 2) Risulto sempre più pedante del voluto e del dovuto. 3) Non so usare aggeggi di registrazione decenti né al momento voglio imparare. => Mi spiace per voi!

il bel Balkan font, da un libro che girava in Kitchen, fotografato da @biljaic

Siete scusati di tutto, davvero. Il serbocroato è una lingua poco conosciuta, e vivete bene così. Non datevi pena. Epperò chi non è scusato sono i giornalisti televisivi e radiofonici, e i telecronisti. Essendo le mie terre di sport, ci sono molti più cestisti, calciatori, tennisti, sciatori e via dicendo in –ić di quel che il numero di slavi del sud al mondo suggerirebbe. Mammasanta! quanto ci vuole a chiedere a uno Zvonimir o a un Siniša come si pronuncia il loro nome e segnarlo in redazione una volta e per sempre?

Ma voi immagino non siate “in voce” ogni giorno, ci sta che non vi siate presi la briga di chiamarmi per chiedermi una pronuncia. Allo stesso tempo, vi stufate di essere sempre nel dubbio davanti a intrichi di semivocali come Ljajic? Ecco il post scritto&sonoro che fa per voi!

La prima notizia positiva è che leggere il serbocroato è facillimo. Davvero. La regola è: trenta suoni, trenta simboli. La cattiva notizia è che questo vale solo quando il serbocroato è scritto con l’alfabeto cirillico (che non è un’altra lingua, ma solo un altro modo di traslitterazione!): ossia –oggi– solo in Serbia e altre repubbliche assurde tipo il Montenegro, credo (da nessuna parte si usa solo il cirillico, comunque: e giustamente).

Però con l’alfabeto latino il discorso non cambia molto. Sempre trenta suoni, sempre trenta lettere. Solo, qualche lettera è formata da due segni. Ecco, bravi: come gn sc e gl in italiano! Vedete che ci siete? Sapendo leggere le lettere, potete leggere tutto, perché poi non ci sono trabocchetti di sorta. L’unico dubbio potrà essere l’accento, ma voi anticipatelo il più possibile (ossia, fate l’esatto contrario di quel che fareste in italiano) e nove volte su dieci l’avrete detta bene. Pronti a sentire finalmente come si pronunciano quei segni strani? Via.

c, come calze, come reci! (di’ pure!)

č, come trapani (!), come čovjek (uomo)

ć, come ciuccio, come andrić (premio nobel!), come ćup (orcio)

dž, come džep, tasca

Update del giorno dopo: eureka! Grazie all’intuizione di Lucuqu (nei commenti, sotto) scopro e quindi consiglio il suono dr come lo direbbe un siciliano, per rendere . Un po’ come il Conte Džaaakula di AldoGiovanniGiacomo: potete ascoltarlo qui in versione 15″, al netto dei tuoni e fulmini la  si sente benissimo!

đ, come gioco, come đokovic (go, Nole, go!), come đak (alunno)

h, in teoria come hotel, come hvala (grazie), come hvar (la ibiza croata, e difatti non ci vado mai)

j, come juventus, come jaje (uovo), come Jarni (Robert, calciatore anni ’90)

š, come scemo ma molto più incavolato, come šuma (bosco)

z, come sbavare, come Zvonimir (lui, Boban)

ž, come želimir che desidera la pace ma evidentemente è nato nel paese sbagliato

Poi basta ricordare che Lj è come Gl italiano, e che Nj è come Gn. E che fanno una lettera unica, difatti il mio nome ha solo sei lettere anziché sette se scritto coll’alfabeto cirillico. Биљана. È una meraviglia, no?

La g è sempre dura, come in gatto (per la g dolce come gi e ge italiani c’è la đ!); così k suona sempre come in casa. Quindi liceo classico si scrive Gimnazija e si legge –più o meno– ghimnasia.

Ora sapete e potete leggere TUTTO. E pronunciarlo bene. Allora: via al test!

Jasmin Repeša, allenatore croato

Pelješac, penisola dalmata (l’audio è riciclato, era quello per @giuliabalugani)

Novak Djokovic (o –meglio– Đoković)

Ljuljačka, altalena

Alen BokšićRobert Prosinečki, ex iugocalciatori

Monica Seles, fu Monika Seleš

Biljana Prijić @biljaić

Tutto ciò è per scherzare, comunque. Per una trattazione seria e molto più piacevole dell’argomento seguite il tag o jeziku i tako dalje dell’inarrivabile Jadran. Se ho rotto gli indugi e mi sono messa a leggere testi lunghi nella prima lingua della mia vita, è del tutto merito suo. Puno puno hvala!

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