téchne

7 punti per cui Tangible.is good (e il ciabattino ha sempre le scarpe rotte)

Ho dovuto dire addio a un mio fornitore amatissimo. In una occasione normale la circostanza mi avrebbe spezzato il cuore, perché mi pesa lasciare i fornitori bravi. Ma in questo caso l’occasione era speciale: il fornitore ha cambiato pelle. Quindi ho detto addio a un bel bruco per salutare una meravigliosa farfalla.

Fatti e istruzioni:

  • GNV&Partners diventa Tangible dopo un lungo percorso di rebranding
  • Se li conosce(va)te, leggete pure ma poi fatevelo raccontare anche da loro, il percorso
  • Se non li conosce(va)te beati voi: avete la fortuna di conoscerli ora! Sbirciate almeno in velocità il loro sito dopo (o meglio prima) di aver letto qui

Le mie impressioni

1. Un nome internazionale ma di derivazione latina. Concreto e quasi sinestesico

Tangible in quanto parola è una promessa (saremo tangibili, pare dire). E quindi è un progetto in sé, che è quello che fanno i professionisti di Tangible. E ha questo suono a raffica che promette idee, scambi, confronti.

2. Fatto a mano per parlare di esperienze digitali: dai post-it ai bit

Commovente che chi lavora oggi prevalentemente col computer sia cultore della calligrafia e della bellezza della scrittura a mano. Del resto io ho scoperto #scriviamoamano grazie a una regina del web come Alessandra. Il logo di Tangible è bello senza strafare, netto ma con le meravigliose imprecisioni del tratto a mano, preludio degli sketch imperfetti ma utilissimi che userete se avrete la fortuna di lavorare con questo team.

3. Magenta GNV ma immerso in colori che lo riequilibrano con garbo

Rebranding vuol dire non ripartire da zero (Ricomincio da tre, direbbe Troisi: e in comunicazione vale sempre, ché non si butta via niente). Di GNV&Partners è stato mantenuto un colore così caro ai graphic designer come il magenta, perché è un po’ materia prima (in quanto colore base) e un po’ già manufatto (in quanto dotato di personalità e –come dice Nicolò– molto “umano”).

4. Carattere anche con un carattere neutro: la rivincita del bastone

Con un logo così, la scelta del set tipografico è ardua. Approvo la volontà di non “sbocciare” come si dice a Bologna. E ammiro la capacità di selezionare in ogni caso un carattere pulito ma riconoscibile, che a ogni navigazione sul sito sento sempre più come “ah, sì: la font di Tangible”.

5. Da desktop bellissimo, da mobile te ne innamori

Il brand new brand immerso nel suo ambiente naturale funziona a meraviglia. Ho letto tutti i testi manco dovessi fare proofreading (che ho fatto, ma i refusi si lavano in privato). Mi piace l’esattezza delle frasi che hanno usato, non una di più, e certamente non una di meno. Questa stesso pezzo che state leggendo si compone di un sacco di parole inutili che avrei potuto e dovuto tagliare. Scrivo sempre troppo di getto e poco con struttura. Nel sito di Tangible no.

6. Foto facce figure… in delizioso equilibrio

So bene quanto sia difficile raccontarsi come agenzia / società di consulenza. Il B2B è una fregatura da questo punto di vista. Vendere la nutella è facile, vendere la ditta (“ditta” ♥) che trasporta la nutella è difficile. Vendere post-it è facile, vendere gente bravissima che usa post-it per lavorare è difficile. Ma se chiami un fotografo per uno shooting comediocomanda e non ti vergogni di qualche faccia buffa o posa insolita, materiale per dare pepe al sito ne hai. E poi ci sono le animazioni, gli schemini: belli e mai superflui. Resta vera una cosa: per quando bello sia il loro sito, i siti che fanno per gli altri lo sono di più. Ah, i ciabattini.

7. E infine, chicca: una url da bacetti

Ma quanto siete bravi quando fate lo sforzo di non fare la scelta più ovvia, e di non perdere l’occasione per fare anche di un dettaglio un pezzo di identità? L’estensione .is mi permette di fare il titolo di questo post, ma consente anche mille giochi di senso su Tangible is… Un’altra promessa, proprio come il nome.

  • Ho scritto questo post per Medium ma si trova anche qua perché POSSE.
  • Questo post è stato scritto con un vecchio iPad sull’app di Medium e pensato per Medium dove vorrei scrivere non troppo saltuariamente di robe di lavoro & dintorni.
  • Questo post non è una marchetta nel senso che non mi hanno pagato. Del resto sono io che pago loro. Soldi ben spesi.
  • Addio bruco giennevì, sai che ti chiamavano anche giennevù? Benvenuto Tangible, benvenuta consapevolezza.
Standard
giringiri

Gioco di ruolo EXPO

expo, supermercato del futuro coop

Nei siti web della PA anni fa andava molto di moda prevedere una navigazione particolare chiedendo all’incauto navigante Sei un cittadino? Sei un’impresa? Sei un fornitore? Sei un’altra PA? Faceva molto ridere e vivaddio pare essere passato di moda. Ecco, leggete questa sorta di bizzarra e poco soddisfacente recensione immaginando un percorso personalizzato. Tipo. Vai a Milano per l’EXPO se…

…sei un bambino?

Preparati a divertirti meno che a Mirabilandia ma più che in un museo standard (meta-autocit. dall’imperdibile post di Ilaria Mauric). C’è un sacco da esplorare. Implora i tuoi di lasciarti almeno un po’ da solo, macchine non ce n’è e prometti di fare il bravo bravissimo.

…sei un cooperatore?

Che la cooperazione sponsorizza e tanto te ne accorgerai solo tu. Però il supermercato del futuro va visto. No, nessuno penserà che sia la cooperazione del futuro, vanno tutti a vedere il robot che insacchetta la frutta (vacci pure tu, eh: è fico). E quindi due suggerimenti. 1) Chiediti perché la cooperazione c’è ma non si vede, indaghiamo assieme i motivi della nostra incapacità di raccontarci in maniera contemporanea come movimento di persone, lavoratori, utenti/consumatori (anche se qualcuno non ama quest’ultima etichetta), abitanti e via così. 2) Usa il “prototipo colossale” (definizione fulminante di Ilaria, ancora lei) e testalo in tutti i modi. Immaginati tra dieci o quindici anni: vorresti fare la spesa così? Ti sentiresti a tuo agio? Ti mancherebbe il supermercato come è adesso? Le mie risposte sarebbero no, no e no, ma sono una donna senza fantasia e l’alternativa ideale proprio non mi viene in mente. Spero a te sì, caro cooperatore: lo faresti pure tu sempre tecnologico ma un po’ più caldo?

…sei un comunicatore?

VAI a Expo e goditi una giornata senza stress. GUARDA con calma tutti i dettagli che colpiscono la tua attenzione, fra il disinteresse della folla che corre verso le 4 ore di fila al padiglione giappo perché Me l’ha detto mia cugina, è imperdibile: vivrai un Expo parallelo e pacato. LEGGI claim, payoff, baseline da tutto il mondo. Ingenuità, creatività, brio, noia, banalità, arguzia: a partire dall’eterno I feel sLOVEnia, è una rassegna di copywriting notevole. TOCCA i materiali degli allestimenti, pensa alla fatica di azzeccare il giusto equilibrio tra economicità e resistenza per robe impressionanti che devono durare da maggio a ottobre. COPIA idee, soluzioni grafiche e tecniche, accostamenti arditi, modi nuovi di presentare le solite informazioni. EVITA i luoghi troppo affollati e con troppa fila: c’è tanta buona comunicazione anche nei padiglioni sfigati (quasi monastico ma d’effetto il montenegrino).

…sei italiano?

Se non vai, non parlarne. Non ha senso. Se invece vai, tieni a freno le aspettative e vedrai che ti troverai bene. Sei quello che gli han fatto l’Expo nel cortile di casa e spesso ci va solo per quello. Allora ricordatelo: sei a Milano da italiano e attorno a te c’è un sacco di gente venuta da lontanissimo apposta. Guardali, studiali, avvicinali se te la senti. Approfittane per mangiare il più strano e insolito possibile, puoi. Hint: il burger di coccordillo del ristorante dello Zimbabwe è buonino ma non esagerato, a detta di colleghi buongustai.

…sei straniero?

Expo ti piacerà perché c’è tanta bella Italia e c’è il mondo intero in Italia, evento raro. L’Italia è di norma così piena di se stessa che non c’è posto per altro, nemmeno per due paroline in inglese decente. Allora girala pure nella vetrina stranissima dell’Esposizione, tutte le regioni concentrate e incastrate l’una con l’altra, le eccellenze servite su un piatto d’argento, il granapadano notissimo accanto al Pannerone di Lodi (assaggiato in degustazione Slow Food: diffuso in tutta la Lombardia meridionale fino alla Prima Guerra mondiale, oggi lo fa UN SOLO caseificio: squisito). Però poi, caro visitatore straniero, se puoi varca le soglie di questa prigione dorata e goditi un po’ di Italia vera. Sarà meno internazionale, sarà egualmente provinciale (a Expo l’Italia è provincialissima e da cartolina), ma sarà molto più vera e sorprendente. Tutte le specialità assaggiate nella ressa dell’Expo sono solo la copia sbiadita della sbalorditiva biodiversità culinaria italiana. Lascia Rho e valla a scoprire.

…sei ambientalista?

Prima di tutto: respira. Va tutto bene. Tranqui. Va meglio? Ok. Possiamo parlarne. No, Expo non salverà il pianeta. Come dici? Ecco no, Expo non distruggerà il pianeta. Pari e patta? Forse. Di sicuro c’è a Expo meno verde di quanto non ci siano costruzioni (bellissime, le architetture sono la parte migliore di tutto) o soluzioni ultra tecnologiche. Ma di verde ce n’è. Specie nelle zone più defilate. Ci sono sentierini tra gli arbusti che collegano i vari spazi con tante e tante piante diverse, speso etichettate. Ci sono panchine nelle aiuole un po’ ovunque. Se il tempo è bello ci si gode l’aria aperta e ancora una volta perde senso la fila immensa al giappo (sì, mi pare proprio assurda ‘sta roba) per andare dentro, quando c’è così tanto da godere fuori. Ma allora il temone “Nutrire il pianeta”? L’ambizione di una esposizione universale placata malamente da qualche pianta da vivaio? Può darsi. Ma pensa, caro ambientalista, se il tema fosse stato futuristico. Ci avrebbero catapultati in un Blade runner di raggi laser e umanoidi inquietanti, e sarebbe piovuto sempre. La gran furbata è stata proprio questa. Da’ un tema vagamente ecologista e il risultato sarà comunque una fiera ipertecnologica e con copioso uso di cemento e asfalto, ma qualche aiuola qua e là anche solo per far scena la mettono. Godiamocela!

…sei un antropologo?

Il mondo è tuo, e a Expo lo cogli con un sol sguardo. Senti a me, ascolta le chiacchiere dei lavoratori dei vari padiglioni (e relativi ristoranti!) piazzandoti nelle viuzze laterali e retrostanti. Gironzolando senza meta con le mani sprofondate nelle tasche ho captato stralci di conversazioni in lingue natìe e lingue franche (inglese, ma pure italiano) tra cuochi e hostess, facchini e account d’agenzia, diplomatici e allestitori di tutte le latitudini e longitudini. Come nelle nostre città, il cardo e il decumano son bellissimi (a Bologna il decumano è via Rizzoli/Bassi, ma il cardo non è via Indipendenza, bensì via Galliera), ma è nei vicoli e nelle stradine limitrofe che ci si diverte e si godono le gioie della diversità.

Standard
téchne

www mi piaci tu, nuovo Internazionale

Sono stata, anche quest’anno, a Internazionale a Ferrara. Sono rimasta incantata dalla presentazione del loro nuovo sito, e vi dico perché per me dovrebbe piacervi.

È bellissimo. Come il suo giornale, del resto. Come il logo di Internazionale, ridisegnato apposta per il lancio del sito web. Una sola font, Lyon come la città francese, per tutti i testi, dai titoli agli occhielli, dal corpo dell’articolo su carta a ogni sezione del web, senza soluzione di continuità.

È un progetto progettato. Voglio dire, davvero. Con un inizio, un lancio, una evoluzione (già prevista) di circa tre anni, step intermedi. E misurazioni, valutazioni, scelte, scommesse (il reportage! l’eliminazione dei commenti! la scomparsa dei contatori di tuit e like!).

È pensato. Nulla è stato lasciato al caso. Alle domande superspecifiche dei lettori di Internazionale presenti in Sala Estense (ricordatemi di buttarmi nell’editoria rosa disimpegnata, se nella prossima vita farò la direttrice di testata) Giovanni De Mauro ha sempre risposto Ci siamo interrogati a lungo su questo aspetto, e alla fine abbiamo deciso che…

È amatissimo. Da chi l’ha voluto, da chi l’ha pensato, da chi ha coordinato il progetto, da chi come quella gran càrtola di Mark Porter ci ha lavorato come fornitore. Dalla redazione al gran completo che era presente, compresi quelli che –ce ne sono, ne son certa– amano l’odore della carta. Perché lo sanno che del web non si può fare meno, e allora tanto vale farlo bene.

In conclusione, due note.

.prima.

Perché italia.it non è stato fatto (e voluto, e pensato, e ragionato, e progettato, e amato) così? Perché quello che si può permettere un piccolo settimanale indipendente italiano non può permetterselo l’ente turistico dell’ex prima destinazione vacanziera mondiale, paese europeo di sessanta milioni di abitanti?

.seconda.

Lo amatissimerete anche voi, prevedo.

 

La foto è di me stessa medesima, scattata su suggerimento di Ines e Giulia per festeggiare che all’ottava edizione persino quei burberi dei ferraresi han pian pianino adottato il festival più bello che c’è.

Standard
mostovi

Lavoro vecchio fa buon brodo*

Ho un nuovo lavoro. Evviva. Ma ho anche un vecchio lavoro. Evviva, evviva. Così dico Ho un nuovo incarico, che fa un po’ ridere ma almeno evito che la gente chieda Ma allora hai lasciato Kitchen?! Perché ho sempre raccontato la mia agenzia come un luogo bellissimo per lavorare. E lo è ancora. E sono contenta di essere ancora qui. Ma anche il mio nuovo lavoro/incarico è una stupenda scommessa, che mi sta facendo imparare una valanga di nozioni nuove. Mi sento una spugna. Di come andrà questo esperimento avrò modo di riflettere. E per quanto mi fidi poco delle prime impressioni, ne ho già collezionate un monte. Di questo primo periodo schizofrenico in cui passo mezza giornata da una parte e l’altra mezza dall’altra parte ho collezionato alcune impressioni che non voglio dimenticare. Eccole, non esaustive e in ordine sparso.

Conclave

κ Ho da sempre le chiavi del mio vecchio ufficio. Entro, esco. Al sabato, nei rari pomeriggi di compere, ci mollo le sporte se poi voglio restare in giro in centro. Se voglio finire un lavoro di domenica pomeriggio non devo chiedere. L’ufficio è la mia, la nostra casa. Amata e odiata come tutti i posti dove passi un sacco di tempo.

ρ Nel nuovo ufficio suono come un ospite qualsiasi. Al citofono qualche volta chiedono di identificarmi, altre volte danno il tiro e basta. È strano. (Ma è anche bello. Detesto usare le chiavi, sono una scampanellatrice indefessa.)

Signorina Sotuttoio

κ Io e i miei colleghi storici abbiamo profili diversi (ci sono i creativi, gli amministrativi, i webqualsiasicosa), ma condividiamo un vastissimo background comune. Un lessico condiviso sterminato. Prepara gli esecutivi, controlla la ciano, facciamo una ricerca di anteriorità, stampa i layout. Io parlo, loro capiscono e rispondono; e viceversa. È bello, è utile, è efficiente.

ρ Con i miei nuovi compagni di viaggio non condivido nemmeno la nazionalità, in taluni casi. Che poi pure io a nazionalità sono un casino, e quello è il problema minore. Ho dovuto spiegare che no, non ho competenze artistiche e grafiche di alcun tipo. Pian piano imparano a inquadrarmi, e mi fanno domande cui rispondo con piacere. Ne faccio tante anche a loro, che sono bravissimi e superorganizzati, è un piacere farmi contaminare su temi di economia e politica internazionale.

Camera cafè

ρ Nel nuovo ufficio c’è la macchinetta automatica del caffè, quella ad armadio. Quella brodaglia mi buca lo stomaco, ma ho comunque preso la chiavetta, di base perché la segretaria superpiù mi terrorizza e mi pareva brutto dire di no. Non ci vado mai, alla macchinetta armadio. Ma sento i colleghi che ci chiacchierano davanti, come Luca Nervi e Paolo Bitta.

κ Nel vecchio ufficio abbiamo la moka. Anzi, due. La domanda, da sempre, è la stessa. Faccio la grande o basta la piccola? Quel rituale dell’apertura, dello svuotamento, sciacquo, e riempimento con nuova miscela è un segno di pausa, cura e pazienza. Ti faccio un caffè? quando un collega è un po’ abbattutto è una grande dichiarazione d’amore. Di moka.

Mezzogiorno di fuoco

ρ Nel nuovo ufficio siamo tanti. Troppi e con orari troppo diversi per poter pensare di pranzare tutti assieme contemporaneamente. Chi esce, chi va a casa, chi si porta la schiscetta (che termine meraviglioso, schiscetta). Sembra tutto caotico, in realtà è fluido e rodato.

κ In Kitchen abbiamo da sempre onorato il nome della nostra agenzia, cucinando nella cucina della Cucina piatti semplici e salutari, sempre deliziosi. Risotti con zucca o radicchio, paste dai mille condimenti colorati, zuppe di legumi e cereali, insalate con le verdure della cassetta bio che arriva ogni martedì mattina. In tanti anni non sono mai rimasti i piatti nell’acquaio, dopo. C’è sempre chi riconosce lo sforzo di chi ha cucinato per tutti e lava pentole e quel che c’è. Mi pare una gran cosa.

Il signor Porter e io

κ La mia storica agenzia offre servizi di comunicazione, e io seguo alcuni dei progetti che nascono dall’inizio alla fine. La comunicazione è il prodotto e sono in prima linea con soci, collaboratori, clienti e fornitori.

ρ Roncucci&Partners è una business consultancy che aiuta le imprese italiane a internazionalizzarsi per crescere e restare competitive su un mercato che è globale e sempre più complesso. Io sostengo la mia nuova impresa impostando la comunicazione istituzionale e aiutando i miei nuovi colleghi a curare una comunicazione di progetto più efficace. Sono una funzione trasversale, di supporto. La circostanza mi piace e mi fa riflettere.

Sarà impegnativo, ma sono contenta.

* Questo titolo è brutto come ogni azione di copywriting scaturita dalla mia testa poco brillante. Non vuole essere irrispettoso, anzi. Il brodo è la pietanza nazionale di dove sono nata, ed è buonissimo. L’ho scritto mentre il post era in bozza pensando di cambiarlo, ma poi non l’ho fatto. Mi affeziono ai titoli, pure se sbagliati, come mi affeziono ai posti di lavoro meravigliosi, pure se poi li tradisco a metà per imparare qualcosa di nuovo.

Standard

Sono una onorata amica dell’imperdibile Impronte Digitali & friends, la versione di quest’anno del programma radiofonico di Pirex e Inkiostro su Radio Città Fujiko, che trovate sulla frequenza 103.1 a Bologna e ancora più comodamente sul sito.
Li ascolto da sempre e mi diverto tantissimo a commentarli in diretta su Twitter –da casa o dall’ufficio– mentre loro chiacchierano di web e compagnia bella dagli studi di via Gianbologna.
Martedì scorso ho varcato questa ambita soglia e sono stata loro contentissima raffreddatissima e spero non proprio impacciatissima ospite.
Abbiamo parlato –ovviamente– dell’Internet Festival di Pisa.
Ma anche accennato a temi che dovremmo sviscerare. Perché il doppiaggio è il male, per esempio.
E di tante altre impronte più o meno digitali.

La registrazione della puntata è qui, magnificamente introdotta da Pirex sul blog di Inkiostro.

Se non sono stata proprio un fallimento dovrei tornare.
In ogni caso ascoltateli perché sono uno spasso: tutti i martedì dalle 19 alle 20.

La fotina l’ho fatta io alla radio proprio da dove trasmettiamo.

***

UPDATE! (Sono tornata quindi desumo che non ero del tutto un fallimento: evviva!)

L’elenco di tutte le puntate, per ascoltarle o scaricarle o ridere di me, è alla pagina dei Podcast!

fotine, parole parole parole

On air!

Immagine
giringiri

#IF2013 THEN @biljaic nel social media team

if2013_pisa_date

E insomma andrò a Pisa all’Internet Festival. E lo racconterò un po’, da qui e da Twitter, Instagram e Facebook: sono nel Social Media Team di #IF2013, evviva! Avevo programmato di farci un salto in ogni caso, almeno per un giorno o due. Anche se –certo– dopo la sbornia di Internazionale a Ferrara (un evento che adoro e che non perdo mai), il più sarebbe stato trovare le energie per ripetermi a una settimana scarsa di distanza. Quando ho visto il bando per il social media team l’ho trovato così “accogliente” che ho scritto l’application di getto, in un quarto d’ora. Poiché senza che l’avessi pianificato contiene molte riflessioni su comunicazione, registri, stile, online/offline, livetweeting e annessi e connessi vari, riporto qui la mia risposta alla domanda cruciale del form per l’application:

Perché dovremmo sceglierti

Dovreste scegliermi perché non so fare livetweeting, ma so fare thinktweeting. L’anno scorso al Festival di Internazionale (bravi che non vi siete sovrapposti, quest’anno!) i ragazzi delle primavere arabe raccontavano dei loro livetweeting dalle piazze nordafricane e parlavano di dieci tweet (tuit?) al minuto per ore e ore. Pensavo “non potrei mai farcela!”. Ma lì c’era la Storia da raccontare e scrivere in tempo reale.
A me degli eventi piace sì trascrivere qualche frase captata dal palco, ma commentata, interpretata, quasi spiegata. Sono un’ottima spalla ai tuittatori compulsivi, insomma, anche se non sforno dieci tuit al minuto.

Poi dovreste scegliermi perché amo gli eventi e sono una feticista del badge col mio nome al collo. E certo questi sono problemi miei, ma la circostanza è favorevole a garantirvi un entusiasmo ai limiti del ridicolo e una totale dedizione alla causa. Se l’evento è bello (e il vostro lo è), l’euforia trapela da tutti e 140 i caratteri, da ogni pixel di foto quadrata con filtro, e persino da ogni post del bruttino Facebook…

Dovreste scegliermi perché sono una teorica e tecnica della comunicazione di massa, quella cosiddetta tradizionale e quella online, anche se il confine è sempre labile. Ho studiato Semiotica a Bologna e Marketing ad Alma Graduate School, ma soprattutto coordino progetti di comunicazione per l’agenzia Kitchen, di cui sono socia da sempre e per la quale curo in prima persona i progetti di comunicazione 2.0, dal punto di vistra strategico e poi operativo.

Dovreste scegliermi anche –non solo, ma anche– perché vivo di networking e coltivo relazioni vere e fruttuose con professionisti che lavorano in settori affini al mio, ma anche con chi ha esperienze lavorative distanti. Sono responsabile della comunicazione di Generazioni, il network dei giovani cooperatori di Legacoop Emilia-Romagna, fin dalla sua costituzione nel 2007; incarico che mi ha portata più volte all’estero alla scoperta della cooperazione europea e all’allargamento della nostra rete di contatti. Conosco, apprezzo e ammiro molti “nomi noti” nel web, che mi onorano della loro amicizia (sia online sia –fortunata!– de visu): Gianluca Diegoli, Alessandra Farabegoli, Miriam Bertoli, Massimo Dietnam Fiorio, Domitilla Ferrari, Daniele Ferrari, Luca Sartoni.

Se non fosse abbastanza, dovreste scegliermi perché scrivo bene, o almeno mi impegno a farlo più che si può. Lungi dall’essere grammarnazi (amo coltivare il dubbio più che sputare sentenze), mi piace onorare la nostra bella lingua evitando formule astruse o burocrateggianti, permettendomi il lusso –senza esagerare e senza penalizzare la chiarezza– di variare il lessico, di innamorarmi di espressioni insolite e neologismi intelligenti. So adattare il registro, amo interpretare il contesto attraverso la scrittura. Sperando quindi che queste poche righe non celino (troppi) refusi, vi assicuro che non scrivo sempre in modo così scanzonato. È una libertà che mi sono presa vista la vostra briosa presentazione alla “Ricerca di componenti per il social media team”.

Riassumendo quanto state cercando, nell’ordine:

“Appassionati d’innovazione: nuove tecnologie, nuovi materiali, cinema, web series, business Start-up, cittadinanza attiva, Big Data, hackaton, comunicazione digitale e social, didattica e l’informazione, editoria e blog.”
Direi che non manca nulla, sono i “miei” temi.

“Ricorda: con fantasia e passione ognuno potrà rendere davvero speciale il proprio contributo, ed è proprio questo che ci aspettiamo!”
Potete contarci! :-)

“Sii creativo! Le cose più belle saranno riprese e valorizzate nei profili ufficiali dell’Internet Festival.”
La prendo come una promessa.

“Attento a non ‘cinguettare’ troppo spesso o con contenuti non strettamente rilevanti: un aggiornamento troppo frequente o improprio può risultare fastidioso.”
Lo dico sempre, io. ;-)

“Racconta le cose dal tuo punto di vista, esprimi le tue opinioni, mostra la tua personalità.”
Non saprei fare altrimenti…

“Sarai una voce ufficiale. Sii professionale e amichevole quando ti trovi a contatto con i visitatori del Festival.”
Un sorriso per tutti: del resto lo faccio sempre.

“Prima dell’inizio del Festival cerca di raccogliere tutte le informazioni che ritieni utili.”
Che sono secchiona l’ho già detto?

“Mettiti nei panni del visitatore: se vedi qualcuno in difficoltà, offrigli il tuo aiuto. Non sarà sempre facile capire se una persona sta visitando il Festival o semplicemente la città, ma ricordati che chi è portavoce del Festival, lo è anche di Pisa.”
Sono una normalista mancata, sarà un onore raccontare Pisa.

Credo che potrò fare un buon lavoro. :-)

Standard