mostovi

7 balcanici motivi per vedere la serie croata Novine | The paper

31174483_165561227461564_4006707211559501824_n

La serie imperdibile dell’anno non è né americana né inglese. E non è nemmeno italiana. L’anno è ormai a metà, ma voi dedicatevi a guardare Novine e non ve ne pentirete. La trovate su Netflix con il titolo internazionale The paper, perché “novine” significa giornale quotidiano, e delle vicende di un giornale tratta, con una qualità che forse non ti aspetteresti da una produzione tutta croata. Chi scrive l’ha iniziata a vedere per motivi biografici, essendo nata in Dalmazia che della Croazia è la regione costiera più bella, e per noia, avendo una volta oziosamente digitato “serbocroatian” nella barra di ricerca di Netflix, poi dice che divanarsi non serve a nulla… Ma voi potete vederla anche senza avere un cognome in -ić perché le cosebelle sono universali. Ecco 7 buonissimi motivi per non perderla.

Europea, ma esotica.

La croazia è un vicino lontano, di cui sappiamo pochissimo perché i media se ne disinteressano, e che visitare una settimana d’estate non basta. Guardando Novine la si avverte esattamente così, vicina come tanti altri paesi dell’UE (dal 2014) e remota come può esserlo un luogo in cui “prima della guerra” vuol dire meno di trenta anni fa.

Dark, molto dark, e cattivi cattivissimi.

Novine racconta la vita travagliata di una redazione di giornalisti bravi e dediti, alle prese con lo strapotere di politici, poliziotti, giudici e uomini e donne d’affari dal passato sempre inevitabilmente opaco e privi di ogni scrupolo morale. Il più pulito ha la rogna, e House of cards pare un collegio di educande al confronto.

Tutti i mali del sovranismo, spiegati bene.

Soprattutto nella seconda stagione (uscita su Netflix a inizio di quest’anno) la connessione tra deriva morale e nazionalismo cieco è palese e raccontata attraverso le azioni, i gesti e le parole di personaggi eterogenei tra loro, di parti politiche avverse e di estrazioni tra le più varie. Non si scende mai nella retorica del “tutto un magna magna”, però: le contraddizioni sono mostrate in modo piano e crudo, con una sensazione di inevitabilità che mette angoscia ma tiene pure incollati allo schermo.

Fiume fotogenica.

Novine non è girato né ambientato nella scontata capitale Zagabria, ma in una città costiera e portuale che fu a lungo italiana. Rijeka d’inverno è una scenografia livida perfetta, ripresa da ogni angolazione anche con droni parsimoniosi e benevoli. Ci sono le calli del centro, i portoni socialisti di periferia, le opulente stanze del potere, le ville di design in collina, i bar dall’aria densa.

Croatian way of life, sesso fumo e alcool.

Non siamo più abituati (per fortuna) a vedere fumare ovunque, dal bar al ristorante alla casa di qualcun altro. In Novine tutti fumano e bevono (whisky, soprattutto) tantissimo, in continuazione e con voluttà disperata. Può essere utile per ricordarci che tutto sommato stiamo meglio ora che si fuma solo all’aperto, ma anche per rivedere dei gesti che da decenni abbiamo associato ai film su crimini e complotti, con gente che fuma a prescindere, ovunque, e se ne frega. Persino per i non fumatori, liberatorio.

Il serbocroato in tante sfumature, imprecazioni comprese.

Le serie (e internet) hanno compiuto il miracolo che tutte le VHS di English movie collection non potevano sperare di raggiungere. È molto bello godersi le voci originali degli attori e aiutarsi con i sottotitoli se lo slang di Boston (o di LA, o di Londra) non sono alla nostra portata. È altrettanto bello però godersi lingue di cui non capiamo quasi nulla ma che sono intimamente legate all’ambientazione che le caratterizza. Pur trattando temi universali in cui vi riconoscerete di certo, Novine è balcanica fino al midollo, e i personaggi devono parlare una lingua slava. Godetevi Novine in lingua, assaporate gli accenti (una delle giornaliste è serba e non lo nasconde), non arrossite per le parolacce e bestemmie a ripetizione, fanno parte del gioco.

La qualità sta dove si sa esprimerla.

Attori bravi, fotografia curata e chirurgica, regia sapiente del folletto pluripremiato del cinema croato Dalibor Matanić, quello di Sole alto. La realizzazione della serie è stata all’altezza delle ambizioni della produzione, e dei migliori prodotti internazionali in circolazione.
Novine parla di noi e a noi senza pretese universalistiche o pipponi morali. Lo fa perché chi meglio di un vicino lontano può aiutarci a fare quel passetto indietro per guardarsi un po’ da fuori, che è sempre tanto utile quanto difficile? Ci pare che il vantaggio valga lo sforzo di saggiare la prima puntata.

Be cool, watch The paper. O, meglio. Budite pametni, gledajte Novine.

Standard
mostovi

A San Nicola il Sole è alto

11356714_101038330236090_1024993480_n

Nella lista dei migliori film della mia rivista preferita c’è il film girato nella mia città e scrivo che è ancora San Nicola che è la festa della mia famiglia. E detta così sembrerebbe quasi che ci sia da festeggiare invece sono triste anche se questo annus horribilis volge al termine e forse ci darà un po’ di tregua. Sole alto è un film bello anche se non me lo ricordo tanto bene e le recensioni andrebbero scritte subito dopo aver visto il film. Per dire avrebbe molto più senso scrivere di È solo la fine del mondo che l’ho visto da poco anche se non è bello come Mommy e in qualche snap ho detto pure che alla fine non vuoi tanto bene a nessuno dei personaggi, mentre ero in bici. Ma sono davvero triste ed è San Nicola e i nonni non ci sono più e penso che vorrei piangere fino a Capodanno quando viene Nonno Gelo. Che poi sarebbe San Nicola, e alla fine tutto si tiene. Non capirete mai Sole alto, ma vedetelo lo stesso.

Dalibor Matanić ha girato questo film a Knin ma non gli ho chiesto perché. Uscita dalla Sala estense dove l’avevo visto in anteprima italiana al Festival di Internazionale a Ferrara gli ho stretto la mano, fatto i complimenti e detto che sono di Knin. Che è vero e falso insieme. Perché è come dire Sono di Fantàsia, Sono di Babilonia, Sono di Mordor. Lui ha detto qualcosa come Ah, carino! a riprova del fatto che non è quasi mai una buona idea approfondire con gli artisti. (Questa memoria è un po’ ingenerosa, perché mi lascio influenzare da mio papà che ha spesso dei giudizi sommari che travolgono ogni mio tentativo di pensiero autonomo.)

Non gliel’ho chiesto, ma forse il film è stato girato a Knin perché costava poco. O forse perché c’era natura selvaggia abbastanza e desolazione abbastanza e villaggi semiabbandonati abbastanza per girare questo film che sono tre ma che è sempre lo stesso e infatti gli attori sono sempre loro due anche se hanno nomi diversi e capigliature diverse. Un film sulla guerra, chiaro, perché un film di un croato molto zagabrese girato a Knin che vince premi internazionali con attrice serba di che cosa vuoi che parli, Che cliché signora mia, questi balcanici sempre a parlare delle loro guerre quando la gente muore ad Aleppo. Non capirete mai i Balcani, ma andateci lo stesso.

Ho sempre pensato che se avessi scritto un libro avrebbe parlato della guerra. In un modo o nell’altro. Anche se mi censuro un sacco di volte. Perché penso quasi sempre che a voi giustamente non ve ne frega e v’annoia. Quando sono triste piango. Ma non vi cerco perché penso che vi stufo. L’ho pensato per vent’anni, da che è finita la guerra, ma oggi è Sveti Nikola ed è la festa della mia famiglia e un bellissimo film è stato girato nei dintorni scenograficissimi della mia città e se anche vi stufate vi scrivo quanto è stato doloroso vederlo e quanto la guerra faccia male anche se è finita da ventuno anni e qualche mese. Era iniziata quattro lunghi anni prima, che è quando è ambientato il primo triste episodio. Loro sono giovani e vanno al fiume. Lei è bellissima e lui lo sa. Lei è bellissima e lui non ci crede quasi che una bella così gli dia retta. Lui suona la tromba, ma mentre spirano forte venti di guerra non è il caso di mettersi a suonare uno strumento tanto marziale. Non capirete mai Jelena e Ivan, ma andateli a vedere lo stesso.

Andarsene è stato doloroso. Ne ho ricordi vividi e angosciosi. Faceva caldo come fa sempre caldo nei giorni attorno al mio compleanno, e il Sole era alto mentre passavamo da un posto di blocco all’altro. Andarsene è stato doloroso, ma mai come ritornare. Nel secondo episodio c’è un ritorno. Ed è tutto sgarrupato e tutto triste e faticoso. Ricordo i colpi di proiettile in tutti i muri e tutto che mi sembrava minuscolo perché ero andata via che ero un metro e quaranta sì e no. E nel secondo episodio c’è una scena di sesso intensa e piuttosto esplicita che è sempre un poco strano vedere una scena di sesso al cinema (anche se la Sala estense non è proprio un cinema) seduta accanto ai tuoi genitori. E la scena di sesso esplicita finisce con un To je to che è poco traducibile e che mi chiedo come abbiano devastato come al solito nel doppiaggio che come al solito chi gli piace il doppiaggio e i doppiatori italiani più bravi del mondo verrà defenestrato. Non capirete mai Nataša e Ante anche se fate del sesso esplicito, ma andateli a vedere lo stesso.

Non sono una grande fan dei finali. Un brutto finale non mi rovinerà un film amatissimo. E viceversa un buon finale non risolleverà le sorti di una pellicola già condannata da un giudizio sommario di impronta paterna. Non me lo ricordo bene come finisce Sole alto. Meglio così. Così non faccio spoiler e così Ines non mi sgrida. Del terzo episodio mi piace che i protagonisti siano miei coetanei più o meno e che siano smarriti e incazzati anche se pure loro si mordono la lingua perché tanto non serve a niente. C’è una festa al lago o al fiume che devono essere uno dei miei laghi o dei miei fiumi (i miei fiumi, come Ungaretti). C’è il tentativo di sottrarsi all’impegno perché forse è più facile. Per sopravvivere all’assurdo, al passato che devi archiviare ma mica è una pratica, e comunque ti sei scordato l’ordine alfabetico per farlo. E poi quale alfabeto vale, che sono due e manco nello stesso ordine? Lei è serba e lui è croato, o viceversa. Ma vi siete mica mai innamorati pensando che era vietato, voi? Non capirete mai Marija e Luka, ma andateli a vedere lo stesso.

Standard
téchne

Tutti al cinema! 3 pseudorecensioni senza sottotitoli

Sto vedendo tanti bei film in sala e ne sono felice. Essendo una frantumascatole fissata con la v.o. sottotitolata, vedere un film italiano al cinema è liberatorio perché posso andare in qualunque sala lo facciano senza controllare che non sia orrendamente doppiato come il 99% dei film stranieri. (Sono seria: il primo che dice che i doppiatori italiani sono i migliori della galassia lo defenèstro.)

Per questo, avendo visto tre film italiani di fila che mi hanno entusiasmato, ho pensato fosse un ottimo segnale per un cinema che ha una specie di dovere morale d’esser grande, e ho pure pensato bene di farvene recensioni totalmente destrutturate e inutili se non ne avete lette di ordinate e pregnanti.

I tre film non potrebbero essere più diversi tra loro.

Perfetti sconosciuti e non dite “quello dei cellulari”

Poi lo potete chiamare come vi pare, eh, ma davvero la storia dei telefoni è uno spunto (fertile, utile e attuale, ci mancherebbe) per parlare di rapporti, di amicizia, matrimonio, genitori, convivenze e nuovi amori. Lo smartphone e l’esser costantemente connessi e chini sul suo schermo sono pretesti, non feticci di una denuncia antitecnologica.

E tra le storielle e storiacce di corna vere e finte, di tradimenti e incroci di talamo, spuntano minoritari ─ma secondo me molto azzeccati─ episodi meno pruriginosi ma ugualmente “scomodi”. Quali sono i pensieri e le azioni su cui taciamo? Non è solo il filarino collo sconosciuto di Facebook. Non diciamo dei preservativi dati alla figlia adolescente; dell’ospizio contattato pensando alla suocera invadente; non diciamo che abbiamo messo in vendita la licenza del tassì vergognandoci dell’ennesimo fallimento dopo i beagle, le sigarette elettroniche… (i dettagli: quanto sono importanti i dettagli?).

Se le questioni vere o presunte di letto ci fanno ridere e magari pensare a una cancellazione di ogni cronologia del telefono all’uscita dal cinema, sono stati questi altri argomenti quotidiani a farmi riflettere e alla fine a farmi amare questo piccolo film che non ha per niente il sapore del cinema indipendente intelletualoide ma che si presenta per quel che è: un lavoro ben fatto, ben scritto (la scrittura: quanto è importante la scrittura?) e quasi sempre ben interpretato.

Due appunti da frantumascatole: alla Smutnjak un paio di battute gliele avrei fatte rigirare; basta basta basta con i titoli di testa/coda che giocano su due corpi diversi della stessa font (tipo light + bold).

Fuocoammare che vuol dire quel che dice

Mi credevo chissà che significato dietro al titolo, invece si riferisce letteralmente al fuoco che si specchia nel mare, quindi “fuoco al/sul mare”. Come al solito non capisco una fava, ma mi consolo perché una volta una compagna di studi mi disse Massì, dai: quel film di Fellini col titolo in una lingua straniera… ed era Amarcord. Insomma, c’è sempre chi fa peggio.

Amo i documentari che riescono a essere belli e utili senza voce off, senza didascalie con simulazione di typewriting, senza infografiche. Fuocoammare è quanto di più lontano dallo “spiegone” si possa immaginare, eppure si fa anche testimonianza.

È il racconto poetico di un frammento di realtà che non si spaccia per verità assoluta. Il regista racconta a Radiotre che candiderebbe i lampedusani al Nobel per la Pace, ma li dipinge senza farne agiografia alcuna, indugiando anzi su dettagli di divertente umanità come il risucchio di una pasta lunga col sugo di pesce che a me balcanica impenitente ha suscitato riso e una punta di invidia. (Sono una frana ad arrotolare gli spaghetti, deve essere una dote genetica mancante cui decenni di vita in Italia non possono sopperire.)

Ma Jeeg Robot il cartone ve lo ricordavate?

“Parliamo di robe serie: avete visto Jeeg Robot?” ho chiesto ieri a pranzo, ed ero seria davvero. Il cinema italiano qua ha fatto “clac” e s’è inventato qualcosa che non c’era e il primo che dice Hanno copiato gli americani fa la fine di quello amante dei doppiatori. A me questo pastiche cinematografico ha divertito come una ragazzina. Fa ridere, fa ribrezzo, fa ogni tanto tenerezza e mette pure un po’ di malinconia.

Come non amare un film in cui contro il cattivone magnifico viene scagliata la tazza di un water dello stadio Olimpico? In cui lo stadio Olimpico viene opportunamente classificato più in alto per rilevanza del Parlamento? In cui la strategia della tensione edizione 2016 è la macchietta consapevole di quella di anni passati? In cui Buona Domenica viene confusa continuamente ora con il Grande Fratello ora con Xfactor? E via così.

Esci dal cinema che pensi che Gotham City è sempre stata Torbellamonaca e non ce ne eravamo mai accorti.

Standard
giringiri

Gioco di ruolo EXPO

expo, supermercato del futuro coop

Nei siti web della PA anni fa andava molto di moda prevedere una navigazione particolare chiedendo all’incauto navigante Sei un cittadino? Sei un’impresa? Sei un fornitore? Sei un’altra PA? Faceva molto ridere e vivaddio pare essere passato di moda. Ecco, leggete questa sorta di bizzarra e poco soddisfacente recensione immaginando un percorso personalizzato. Tipo. Vai a Milano per l’EXPO se…

…sei un bambino?

Preparati a divertirti meno che a Mirabilandia ma più che in un museo standard (meta-autocit. dall’imperdibile post di Ilaria Mauric). C’è un sacco da esplorare. Implora i tuoi di lasciarti almeno un po’ da solo, macchine non ce n’è e prometti di fare il bravo bravissimo.

…sei un cooperatore?

Che la cooperazione sponsorizza e tanto te ne accorgerai solo tu. Però il supermercato del futuro va visto. No, nessuno penserà che sia la cooperazione del futuro, vanno tutti a vedere il robot che insacchetta la frutta (vacci pure tu, eh: è fico). E quindi due suggerimenti. 1) Chiediti perché la cooperazione c’è ma non si vede, indaghiamo assieme i motivi della nostra incapacità di raccontarci in maniera contemporanea come movimento di persone, lavoratori, utenti/consumatori (anche se qualcuno non ama quest’ultima etichetta), abitanti e via così. 2) Usa il “prototipo colossale” (definizione fulminante di Ilaria, ancora lei) e testalo in tutti i modi. Immaginati tra dieci o quindici anni: vorresti fare la spesa così? Ti sentiresti a tuo agio? Ti mancherebbe il supermercato come è adesso? Le mie risposte sarebbero no, no e no, ma sono una donna senza fantasia e l’alternativa ideale proprio non mi viene in mente. Spero a te sì, caro cooperatore: lo faresti pure tu sempre tecnologico ma un po’ più caldo?

…sei un comunicatore?

VAI a Expo e goditi una giornata senza stress. GUARDA con calma tutti i dettagli che colpiscono la tua attenzione, fra il disinteresse della folla che corre verso le 4 ore di fila al padiglione giappo perché Me l’ha detto mia cugina, è imperdibile: vivrai un Expo parallelo e pacato. LEGGI claim, payoff, baseline da tutto il mondo. Ingenuità, creatività, brio, noia, banalità, arguzia: a partire dall’eterno I feel sLOVEnia, è una rassegna di copywriting notevole. TOCCA i materiali degli allestimenti, pensa alla fatica di azzeccare il giusto equilibrio tra economicità e resistenza per robe impressionanti che devono durare da maggio a ottobre. COPIA idee, soluzioni grafiche e tecniche, accostamenti arditi, modi nuovi di presentare le solite informazioni. EVITA i luoghi troppo affollati e con troppa fila: c’è tanta buona comunicazione anche nei padiglioni sfigati (quasi monastico ma d’effetto il montenegrino).

…sei italiano?

Se non vai, non parlarne. Non ha senso. Se invece vai, tieni a freno le aspettative e vedrai che ti troverai bene. Sei quello che gli han fatto l’Expo nel cortile di casa e spesso ci va solo per quello. Allora ricordatelo: sei a Milano da italiano e attorno a te c’è un sacco di gente venuta da lontanissimo apposta. Guardali, studiali, avvicinali se te la senti. Approfittane per mangiare il più strano e insolito possibile, puoi. Hint: il burger di coccordillo del ristorante dello Zimbabwe è buonino ma non esagerato, a detta di colleghi buongustai.

…sei straniero?

Expo ti piacerà perché c’è tanta bella Italia e c’è il mondo intero in Italia, evento raro. L’Italia è di norma così piena di se stessa che non c’è posto per altro, nemmeno per due paroline in inglese decente. Allora girala pure nella vetrina stranissima dell’Esposizione, tutte le regioni concentrate e incastrate l’una con l’altra, le eccellenze servite su un piatto d’argento, il granapadano notissimo accanto al Pannerone di Lodi (assaggiato in degustazione Slow Food: diffuso in tutta la Lombardia meridionale fino alla Prima Guerra mondiale, oggi lo fa UN SOLO caseificio: squisito). Però poi, caro visitatore straniero, se puoi varca le soglie di questa prigione dorata e goditi un po’ di Italia vera. Sarà meno internazionale, sarà egualmente provinciale (a Expo l’Italia è provincialissima e da cartolina), ma sarà molto più vera e sorprendente. Tutte le specialità assaggiate nella ressa dell’Expo sono solo la copia sbiadita della sbalorditiva biodiversità culinaria italiana. Lascia Rho e valla a scoprire.

…sei ambientalista?

Prima di tutto: respira. Va tutto bene. Tranqui. Va meglio? Ok. Possiamo parlarne. No, Expo non salverà il pianeta. Come dici? Ecco no, Expo non distruggerà il pianeta. Pari e patta? Forse. Di sicuro c’è a Expo meno verde di quanto non ci siano costruzioni (bellissime, le architetture sono la parte migliore di tutto) o soluzioni ultra tecnologiche. Ma di verde ce n’è. Specie nelle zone più defilate. Ci sono sentierini tra gli arbusti che collegano i vari spazi con tante e tante piante diverse, speso etichettate. Ci sono panchine nelle aiuole un po’ ovunque. Se il tempo è bello ci si gode l’aria aperta e ancora una volta perde senso la fila immensa al giappo (sì, mi pare proprio assurda ‘sta roba) per andare dentro, quando c’è così tanto da godere fuori. Ma allora il temone “Nutrire il pianeta”? L’ambizione di una esposizione universale placata malamente da qualche pianta da vivaio? Può darsi. Ma pensa, caro ambientalista, se il tema fosse stato futuristico. Ci avrebbero catapultati in un Blade runner di raggi laser e umanoidi inquietanti, e sarebbe piovuto sempre. La gran furbata è stata proprio questa. Da’ un tema vagamente ecologista e il risultato sarà comunque una fiera ipertecnologica e con copioso uso di cemento e asfalto, ma qualche aiuola qua e là anche solo per far scena la mettono. Godiamocela!

…sei un antropologo?

Il mondo è tuo, e a Expo lo cogli con un sol sguardo. Senti a me, ascolta le chiacchiere dei lavoratori dei vari padiglioni (e relativi ristoranti!) piazzandoti nelle viuzze laterali e retrostanti. Gironzolando senza meta con le mani sprofondate nelle tasche ho captato stralci di conversazioni in lingue natìe e lingue franche (inglese, ma pure italiano) tra cuochi e hostess, facchini e account d’agenzia, diplomatici e allestitori di tutte le latitudini e longitudini. Come nelle nostre città, il cardo e il decumano son bellissimi (a Bologna il decumano è via Rizzoli/Bassi, ma il cardo non è via Indipendenza, bensì via Galliera), ma è nei vicoli e nelle stradine limitrofe che ci si diverte e si godono le gioie della diversità.

Standard
politiké

7 boiate di cui le donne si compiacciono e poi è un casino

Vi svelo un segreto. Le pubblicità di pannolini per bambine e bambini non sono pensate per bambine e bambini. La piccola Anna potrà fare gol e cercare avventure, e il piccolo Luca potrà farsi bello e cercare tenerezza. Potete (ancora) lasciarglielo fare. Non aspettatevi dalla pubblicità cambiamenti che siete voi a dover innescare. Va benissimo firmare anche petizioni, ma non perdiamo di vista l’obiettivo vero. Rendere impossibili pubblicità di questo tipo (quella di cui tutti parlate è qui) non già tramite censura bensì per totale scollamento dalla realtà, che renderebbe grottesche e non solo criticabili certe sceneggiature. E poiché le aziende e i pubblicitari sono distratti nonostante investano bei soldi a cercare di capire i cambiamenti in atto presso i loro pubblici, bisogna che ci impegniamo a rendere più evidente la nostra volontà, e non tanto il nostro sdegno. Perché –non raccontiamocela– alle bambine si dice ancora che sono belle e ai bambini che sono bravi. M’è allora venuto in mente l’elenco promesso a Elena durante uno scambio di tuit all’ultimo godibile Freelancecamp.

Credo ci sia una connessione tra quello che i pubblicitari ritengono sia patrimonio di credenze diffuso presso larghe fasce di pubblico/target e i miti che noi stesse perpetriamo non si sa bene nemmeno perché. Così, per sport. Per dire qualcosa di atteso e rassicurante, come quando si parla del tempo. È facile fare una battuta scontata che verrà certamente capita e approvata. Ma poi non stupiamoci che gli spot parlino a piccole principesse e miniature di calciatori. Ecco alcuni esempi di boiate che ci scappano quando ci vantiamo di presunte capacità o caratteristiche di nessun valore.

1! Multitasking sarà tua sorella

A fare tante cose assieme le si fa spesso tutte male. Giorni fa ho mandato una email urgente durante una riunione e sono stata redarguita da un project manager (che sospetto sia ingegnere gestionale ma non ho più il coraggio di chiederglielo) per via di una interrogativa indiretta sospesa nell’aria che ha reso quindi la email in questione meno efficace. Oramai è un dato: il mito del multitasking è un mito. Però pure considerando quando non lo era: ma sante ragazze, vi pare una capacità di cui compiacersi? Al massimo vi porta maggiore lavoro, e compiti dati da fare in parallelo ma di poco valore. Perché non è che qualcuno pensa che oltre a poter fare insieme tante attività, queste possano essere pure importanti, vero?

2! Ahi ahi ahi che dolor!

Resistiamo meglio al dolore? Ci lamentiamo meno quando abbiamo la febbre? Bah. Può darsi. Nelle mie microstatistiche personali sì, e di un bel po’. E allora? Basta basta basta farne una questione di genere se non siete sicure al cento per cento d’esser al di sopra di ogni sospetto (ossia di non esser in odore di perpetratrici di stereotipi di bassa lega). Per dire, io lo faccio sempre. In effetti potrei promettere una sorta di fioretto: smetto e vedo l’effetto che fa, ok?

3! Ulisse, vieni, sarò la tua sirena

Questo non è un punto, potrebbe essere un capitolo intero, una monografia, un’enciclopedia. Facciamo un certo effetto sugli uomini, pare. E Cosmo Vanity e altre pubblicazioni (chissà se esista ancora Top Girl, mi chiedo) ci raccontano da mille anni come aumentare questo potere rimbambente. E va bene così, intendiamoci. Ma bullarsene non ha senso. In campo sentimental-sessuale c’è ancora un rapporto tra i sessi talmente perverso, diseguale e “inefficiente” che ogni affermazione di successo deve tener conto del mercato malato della domanda e dell’offerta. Ragazze, ne riparliamo quando toccherà anche a noi guadagnarci la pagnotta e non basterà sbattere le ciglia.

4! La mamma è sempre la mamma

Ce n’è una sola, per carità, ma anche la pioggia è bagnata e se la tira molto meno. Vorrei sapere cosa aggiunge alle nostre vite di donne ribadire a ogni pie’ sospinto che abbiamo la predisposizione biologica al parto. Frequento madri felicemente snaturate (nel senso proprio che non rimarcano in continuazione che per natura sono diverse). Tutte hanno un rapporto invidiabile con i padri dei loro figli che –sorpresa!– fanno i padri e si vantano il giusto. Più le mamme fanno le smorfiose egocentriche più la gente scema farà irritanti complimenti ai padri che accompagnano i bambini a scuola o vanno a parlare con gli insegnanti, come se non fosse normale, naturale; e più ovviamente il soffitto di cristallo resterà impenetrabile al lavoro e nelle istituzioni, ma sarà stato un po’ anche colpa nostra, sappiamolo.

5! Distinguiamo i colori (e sappiamo abbinarli)

Ci sono tanti uomini che vedono in 16 bit come il Nintendo degli anni Novanta, è vero. Ma c’è un limite al fare le smorfiose che distinguono il glicine dal lilla: il limite del ridicolo. Ho lavorato tanti anni con graphic designer professionisti e vi assicuro che usare formule astruse come “carta da zucchero” oppure “guscio d’uovo” non fa di voi esperte di colori. Lo vedo dai commenti alle proposte creative che presento e valuto regolarmente con clienti o colleghi di altre funzioni: sui colori c’è la stessa abissale ignoranza che c’è sui caratteri tipografici, sull’uso delle immagini, sullo stile delle illustrazioni. Quindi, mie care, se non siamo Anna Turcato non parliamo di palette con nonchalance: potrebbero smascherarci facilmente.

6! Sappiamo fare lavatrice migliore del mondo

Quella delle faccende domestiche è forse la boiata più perniciosa di tutte. Non possiamo bullarci di un’attività che viene (giustamente) scansata da pletore di adolescenti sfaccendati che non riordinerebbero la loro stanza nemmeno per una paghetta tripla (dico spesso che intelligente come a 13 anni non sarò mai più: da allora è un lento ma inesorabile declino). Ci sarà un motivo se paghiamo chi ci fa le pulizie dieci euro l’ora in nero e una visita dal neurochirurgo 200 euro al minuto? Vi inebria far brillare l’argenteria? Bene! Vi invidio tantissimo: davvero! Ma zitte! Mute! Non gliene frega niente a nessuno. Se anche credete che fate meglio voi la lavatrice, fategliela fare lo stesso. Più spesso che potete! Se Parigi val bene una messa, la parità tra i sessi varrà ben un paio di mutandine di seta lavate a 90°.

7! Abbiamo un sesto senso che lèvati

Sarà. Sono contenta per voi, perché al solito io sono lessa e fessa e me ne tiro fuori. Non capisco le situazioni –specie tra le persone– quando ce le ho sotto il naso, figuriamoci se so prevederle. Ma ancora una volta mi sembra una capacità distintiva (o presunta tale) di poco valore. Può darsi che le donne in secoli di segregazione domestica abbiano sviluppato capacità di analisi dei dettagli e dei segnali non verbali, mentre i maschi eran fuori a guerreggiare. Ma se di quella capacità qualcosa è rimasto, usiamola e godiamone i frutti, senza strombazzarlo in giro. Quando si parte svantaggiati (io per dire sono femmina ex-extracomunitaria e saputella) bisogna avere grande consapevolezza delle armi utili per recuperare posizioni, e non disperdere le energie. Le parole costruiscono il pensiero (per Platone sono praticamente la stessa cosa!), e quello che diciamo –anche in occasioni informali e di relax– contribuisce all’opinione comune, anche se non ce ne accorgiamo. Dire una frase razzista fa di te un razzista. Reiterare luoghi comuni sulle donne porta i pubblicitari a reiterare il rosa e l’azzurro, perché li rende più certi di una sicura corretta interpretazione da parte dei loro pubblici. Cambiare tacendo (le boiate stereotipate) può essere più rivoluzionario di una petizione.

Ultima nota tecnica (forse già detta in giro per il web, non vogliatemene). C’era sicuramente almeno una pubblicità degli anni Novanta con un pannolino assorbente “più al centro per lei, più davanti per lui”, quindi ‘sto benedetto coso non è manco “rivoluzionario” né “unico” dal punto di vista del prodotto come sostiene lo spot. L’avranno capito anche in questo caso che le parole sono importanti?

Standard
giringiri

I Jadransko plavo more*

Questo post parlerà di turismo dal punto di vista dell’utente. Non sono una esperta in materia, e potrei dire castronerie. Ma osservo bene, da anni, e non sparo giudizi affrettati. Se le castronerie permanessero, c’è spazio nei commenti.

A parte una parentesi lunga che mi parve lunghissima (1991-99), qualche giorno in Croazia d’estate lo passo sempre. La combinazione è campagna dalla nonna poco poco nell’entroterra (la casa di sempre, la gatta di sempre, vegetazione selvaggia che si mangia tutto e tanta desolazione) e poi mare in case in affitto (casa nuova, padrone di casa nuovo, costa nuova o isola nuova: sono una novelty seeker anche nei Balcani).
E in questi anni ho maturato una idea con tanti alti e altrattanti bassi di una vacanza in Croazia. Non tanto per me che alla fine mi arrangio. Quanto per un turista-tipo italiano con gusti non dissimili dai miei (un mio amico ipotetico che preferisce le rocce o i ciottoli alla sabbia).

Madonna corsara.

*

All’arrembaggio!

(1) Il turismo in Croazia è –ovviamente– una delle industrie centrali dell’economia (se non “la più”). Ebbene: non si direbbe. Poco altro al mondo c’è di così male organizzato, per niente gestito, lasciato al caso, non valorizzato. Immagino esisteranno associazioni di albergatori, operatori del turismo, agenzie di viaggi, organizzatori di escursioni. Lo immagino. Ma il loro operato è invisibile. Quando arrivi non hai la sensazione che ci sia un piano, ti sembra sempre che qualsiasi attività interessante o luogo piacevole da visitare sia inaccessibile, come se avessero fatto di tutto per nascondere i propri tesori, anziché esporli davanti ai tuoi occhi, spiegarteli, metterli a tua disposizione.

PLUS | Le nuove autostrade hanno cambiato totalmente e in meglio l’accessibilità del Paese.
MINUS | Le nuove autostrade tagliano fuori Knin e non li perdonerò mai per questo.
DRITTA | Da Rijeka a Senj è meglio fare la statale e poi riprendere l’autostrada (occhio solo ai tornanti che da Senj salgono al cielo!).

*

Casa dolce casa

(2) In Croazia ci sono pochi alberghi rispetto al numero di visitatori. E i pochi che ci sono o son cadenti o son degli ecomostri osceni. Come quando ero piccola io, il modo migliore per farsi le vacanze al mare è affittare un appartamento o una soba (una camera) dai privati. Bene! Si sta comodi, si ha un contatto più caldo e informale con gli indigeni rispetto all’alloggio in hotel, ma c’è un numero infinito di ma. Non c’è un portale unico di gestione e prenotazione. Magari nazionale sarebbe ingestibile, ma regionale sarebbe fattibilissimo (Istria, Quarnaro, Dalmazia nord centrale sud, isole maggiori). Risultato: ogni proprietario ha il suo sitino scemo, ogni Comune ha il suo sitino scemo dove fa tutto male, le grandi agenzie se ne approfittano con percentuali molto alte. L’anno scorso mi sono servita di Adriatic.hr e mi sono anche trovata bene (gestiscono tutta la costa, ti scrivono in un dignitosissimo italiano, ti pagano l’autostrada, ti fanno lo sconto se torni l’anno dopo). Però fanno una “cresta” notevole che incide poi sul budget della vacanza, rendendo vano il contatto diretto con l’affittuario. Il proprietario della casa su Dugi Otok dello scorso anno mi disse “Ah, se mi telefonava direttamente ve la davo per un terzo in meno della cifra”. E come ti chiamavo, zuccone di un ubriacone, se non ti fai trovare in rete in modo sensato? Quest’anno ho prenotato con Airbnb (usato già tre volte, sempre con successo): tutto ok, ma non potevano consorziarsi e fare una cosa simile già 10 anni fa Made in Croatia?

PLUS | Se siete già in loco senza prenotazione, gli onnipresenti turist birò (scritto in genere così) sono storicamente efficienti.
MINUS | Non ci sono quasi alberghi a Knin, ma non trovo un motivo per consigliarvi di pernottarci.
DRITTA | Se però vi siete persi e siete finiti a Knin, salite almeno sulla Tvrđava –la fortezza– e godetevi lo spettacolo della Dinara, la (mia) montagna che noma le Alpi Dinariche.

*

Facciamo un giringiro

(3) L’apoteosi dell’improvvisazione e della disorganizzazione per me è nelle migliaia di escursioni, gite organizzate, visite guidate per le Kornati, per la Blue Cave su Vis, per il Park Krka (il mio fiume!), per qualunque destinazione. Ci sono migliaia di agenzie con cartelloni fatti come in quinta elementare che disturbano la tua passeggiatina serale sulla riva –il lungomare croato– per proporti gite per l’indomani, con orari improbabili e in mezzo a un mare di cinnazzi urlanti. Sono in genere giri senza valore aggiunto, in cui vieni sbatacchiato da una parte all’altra del tragitto senza alcun senso, come in un percorso per carcerati. Sono esperienze da anni Settanta, o da Bali, dove almeno sei giustificato dall’essere dall’altra parte del mondo e senza conoscere la lingua. Il mio consiglio è di non farle. Ma davvero non mi capacito che ancora nessuno abbia messo in piedi un’offerta nuova, diversa, più vicina alla sensibilità contemporanea, e possibilmente popolare nel senso bello del termine: i ricchi si sono presi già tutto il prendibile, non necessitano di altri servizi ad hoc a peso d’oro.

PLUS | La Blue Cave su Vis è uno splendore nonostante la pressione turistica.
MINUS | Alla Blue Cave non si può fare il bagno, non si può usare il flash, non si può fare niente.
DRITTA | Visitate la Blue Cave nelle prime escursioni del mattino (tipo alle 9), e meglio in canoa che in barchetta.

[con un po’ di fantasia] La Blue Cave.

*

Che fame!

(4) Non direi mai che in Croazia si mangia male. Anzi. Però io sono quella che mangia tutto, ovunque, senza mai mai mai avere nostalgia degli spaghetti o della pizza. Quindi sono un po’ inadatta per parlare dell’argomento. Mangiare fuori è un’attività a cui i croati si dedicano meno degli italiani, pur avendo una passione non dissimile per il cibo. L’innovazione –a parte rari casi– è inesistente. Avete presente quando consigliate a un amico “un posticino” dove siete sicuri si troverà benissimo? Ecco, “da me” non c’è nulla di simile. I ristoranti sono anonimi e un po’ freddi, è facile pagare più di quel che il posto e il cibo valgono. E francamente senza conoscere la lingua mi sentirei molto a disagio. Cosa che non mi è successa neanche in altri paesi della penisola balcanica (a Sofia, per dire, dove sono molto più carini). E poi ci sono dei misteri assoluti. Perché il gelato fa pena? Possibile che nessuno abbia fatto un corso non dico in Sicilia, ma a Bologna, dove il livello delle gelaterie artigianali è stratosferico?

MINUS | In Croazia la pasta sarà quasi certamente scotta, e quasi certamente di grano tenero (pure la Barilla, che non spreca il suo grano duro per chi tanto non apprezza).
PLUS | Potete vivere benissimo dieci giorni senza pasta: varietà!
DRITTA | A Brodarica sulla Magistrala (la “nostra” statale adriatica) vicino Šibenik Zlatna Ribica; sull’isola di Vis Roki’s (ma prenotate il giorno prima!); sull’isola di Šolta Šišmiš (vale anche solo per il nome assonante!).

*

Ti va un caffè?

(5) Ho capito che in Croazia il bar è bar e al kafić non puoi ordinare nulla da mangiare (si fa così da sempre: punto). Ma possibile che a nessuno venga in mente di aprire anche solo per la stagione un bar pasticceria dove puoi fare colazione nello stesso posto? Dove puoi inzuppare la tua makovnjača nel veliki makiato (un dolce ai semi di papavero nel caffellatte) senza dover prima passare dal panificio, fare la coda, arrivare al bar, aspettare da bere e fare finalmente una specie di prima colazione?

PLUS | Se per caso il padrone della casa in affitto o un altro indigeno vi invita a prendere un caffè a casa, quasi certamente sarà turco: un’esperienza da fare!
MINUS | Non tutti leggono o sanno leggere i fondi del caffè turco, non ci spererei troppo (ma se volete ve li leggo io!).
DRITTA | Aspettate che il fondo del caffè si sia depositato (vari minuti), e restate seduti almeno tre quarti d’ora: non fatemi fare brutta figura!

*

Iugoslavia che?

(6) Ok, you’re proud to be croat: who cares? Per me il nazionalismo è il male e in Croazia si taglia (ancora) a fette col coltello. Intendiamoci, riservo un trattamento paritario a tutti i nazionalismi dei nuovi Stati. Ho assistito a una festa ordotossa con bandiera serba di mille metri sul campanile e l’ho trovato agghiacciante. Ma è di Croazia che stiamo parlando, no? Quindi questo “orgoglio” sbandierato senza stile, questi scacchetti onnipresenti di cattivo gusto, questa assenza di umiltà e senso della misura mi danno davvero noia. E ingegnarsi per cancellare settanta anni di vita comune mi pare energia sprecata. Ma magari sono io che la vivo male, non so. Magari a voi pare tutto normale. Meglio così.

PLUS | Tanta tanta gente crede che la guerra sia stata un prezzo troppo alto da pagare per l’indipendenza e ha rapporti civili e cordiali con gli altri ex iugoslavi.
MINUS | I nazionalisti beceri ci sono e possono esserlo alla luce del sole.
DRITTA | La grotta su Vis da cui Tito guidò la Resistenza iugoslava è tenuta bene e visitabile: molto suggestiva.

[con un po’ di fantasia] La Blue Cave.

*

Više cvijeća, manje smeća

(7) Anni fa, durante una delle prime ri-vacanze (post belliche) in Croazia con la mia famiglia, imperversava uno spot terrificante cantato da quelli che mia sorella chiamava “i bambini di hitler”. Faceva così:

Lijepa naša Hrvatska, Hrvatska, Hrvatska | O nostra bella Croazia (è l’incipit dell’inno nazionale)
i obala jadranska, jadranska | e bella costa adriatica
*i čisto plavo more | *e pulito mare blu
s više cvijeća manje smeća. | con più fiori e meno sporcizia (verso con rima interna).

Mi secca osservare che l’ambientalismo in Croazia è poco diffuso e praticato. Non che sia sporca, ma è stupidamente trascurata. E tutto il verde che c’è, gli spazi sterminati completamente incontaminati sono poco valorizzati.

PLUS | Se andate a visitare il Nacionalni Park Krka e le sue pazzesche cascate, fate altri 20 km verso l’interno, e scoprirete la sorgente incredibile della Krka!
MINUS | Visitando le sorgenti della Krka vi sarete ritrovati a Knin. La desolazione.
DRITTA | Già che siete lì, mettete i piedi in fresco e comprate delle trote vive all’allevamento lì: è una specie endemica (e deliziosa alla griglia).

*

Temo di aver fatto più critiche che complimenti alla mia altra “casa”. Ma non datemi troppo retta. Una vacanza in Croazia non si dimentica facilmente. A meno che non siate “tipi da spiaggia”!

* * *

Postilla per @giuliabalugani. Per sapere dove andare, devi almeno saperlo dire!

Dalla vetta di Vis.

Standard