giringiri

Gioco di ruolo EXPO

expo, supermercato del futuro coop

Nei siti web della PA anni fa andava molto di moda prevedere una navigazione particolare chiedendo all’incauto navigante Sei un cittadino? Sei un’impresa? Sei un fornitore? Sei un’altra PA? Faceva molto ridere e vivaddio pare essere passato di moda. Ecco, leggete questa sorta di bizzarra e poco soddisfacente recensione immaginando un percorso personalizzato. Tipo. Vai a Milano per l’EXPO se…

…sei un bambino?

Preparati a divertirti meno che a Mirabilandia ma più che in un museo standard (meta-autocit. dall’imperdibile post di Ilaria Mauric). C’è un sacco da esplorare. Implora i tuoi di lasciarti almeno un po’ da solo, macchine non ce n’è e prometti di fare il bravo bravissimo.

…sei un cooperatore?

Che la cooperazione sponsorizza e tanto te ne accorgerai solo tu. Però il supermercato del futuro va visto. No, nessuno penserà che sia la cooperazione del futuro, vanno tutti a vedere il robot che insacchetta la frutta (vacci pure tu, eh: è fico). E quindi due suggerimenti. 1) Chiediti perché la cooperazione c’è ma non si vede, indaghiamo assieme i motivi della nostra incapacità di raccontarci in maniera contemporanea come movimento di persone, lavoratori, utenti/consumatori (anche se qualcuno non ama quest’ultima etichetta), abitanti e via così. 2) Usa il “prototipo colossale” (definizione fulminante di Ilaria, ancora lei) e testalo in tutti i modi. Immaginati tra dieci o quindici anni: vorresti fare la spesa così? Ti sentiresti a tuo agio? Ti mancherebbe il supermercato come è adesso? Le mie risposte sarebbero no, no e no, ma sono una donna senza fantasia e l’alternativa ideale proprio non mi viene in mente. Spero a te sì, caro cooperatore: lo faresti pure tu sempre tecnologico ma un po’ più caldo?

…sei un comunicatore?

VAI a Expo e goditi una giornata senza stress. GUARDA con calma tutti i dettagli che colpiscono la tua attenzione, fra il disinteresse della folla che corre verso le 4 ore di fila al padiglione giappo perché Me l’ha detto mia cugina, è imperdibile: vivrai un Expo parallelo e pacato. LEGGI claim, payoff, baseline da tutto il mondo. Ingenuità, creatività, brio, noia, banalità, arguzia: a partire dall’eterno I feel sLOVEnia, è una rassegna di copywriting notevole. TOCCA i materiali degli allestimenti, pensa alla fatica di azzeccare il giusto equilibrio tra economicità e resistenza per robe impressionanti che devono durare da maggio a ottobre. COPIA idee, soluzioni grafiche e tecniche, accostamenti arditi, modi nuovi di presentare le solite informazioni. EVITA i luoghi troppo affollati e con troppa fila: c’è tanta buona comunicazione anche nei padiglioni sfigati (quasi monastico ma d’effetto il montenegrino).

…sei italiano?

Se non vai, non parlarne. Non ha senso. Se invece vai, tieni a freno le aspettative e vedrai che ti troverai bene. Sei quello che gli han fatto l’Expo nel cortile di casa e spesso ci va solo per quello. Allora ricordatelo: sei a Milano da italiano e attorno a te c’è un sacco di gente venuta da lontanissimo apposta. Guardali, studiali, avvicinali se te la senti. Approfittane per mangiare il più strano e insolito possibile, puoi. Hint: il burger di coccordillo del ristorante dello Zimbabwe è buonino ma non esagerato, a detta di colleghi buongustai.

…sei straniero?

Expo ti piacerà perché c’è tanta bella Italia e c’è il mondo intero in Italia, evento raro. L’Italia è di norma così piena di se stessa che non c’è posto per altro, nemmeno per due paroline in inglese decente. Allora girala pure nella vetrina stranissima dell’Esposizione, tutte le regioni concentrate e incastrate l’una con l’altra, le eccellenze servite su un piatto d’argento, il granapadano notissimo accanto al Pannerone di Lodi (assaggiato in degustazione Slow Food: diffuso in tutta la Lombardia meridionale fino alla Prima Guerra mondiale, oggi lo fa UN SOLO caseificio: squisito). Però poi, caro visitatore straniero, se puoi varca le soglie di questa prigione dorata e goditi un po’ di Italia vera. Sarà meno internazionale, sarà egualmente provinciale (a Expo l’Italia è provincialissima e da cartolina), ma sarà molto più vera e sorprendente. Tutte le specialità assaggiate nella ressa dell’Expo sono solo la copia sbiadita della sbalorditiva biodiversità culinaria italiana. Lascia Rho e valla a scoprire.

…sei ambientalista?

Prima di tutto: respira. Va tutto bene. Tranqui. Va meglio? Ok. Possiamo parlarne. No, Expo non salverà il pianeta. Come dici? Ecco no, Expo non distruggerà il pianeta. Pari e patta? Forse. Di sicuro c’è a Expo meno verde di quanto non ci siano costruzioni (bellissime, le architetture sono la parte migliore di tutto) o soluzioni ultra tecnologiche. Ma di verde ce n’è. Specie nelle zone più defilate. Ci sono sentierini tra gli arbusti che collegano i vari spazi con tante e tante piante diverse, speso etichettate. Ci sono panchine nelle aiuole un po’ ovunque. Se il tempo è bello ci si gode l’aria aperta e ancora una volta perde senso la fila immensa al giappo (sì, mi pare proprio assurda ‘sta roba) per andare dentro, quando c’è così tanto da godere fuori. Ma allora il temone “Nutrire il pianeta”? L’ambizione di una esposizione universale placata malamente da qualche pianta da vivaio? Può darsi. Ma pensa, caro ambientalista, se il tema fosse stato futuristico. Ci avrebbero catapultati in un Blade runner di raggi laser e umanoidi inquietanti, e sarebbe piovuto sempre. La gran furbata è stata proprio questa. Da’ un tema vagamente ecologista e il risultato sarà comunque una fiera ipertecnologica e con copioso uso di cemento e asfalto, ma qualche aiuola qua e là anche solo per far scena la mettono. Godiamocela!

…sei un antropologo?

Il mondo è tuo, e a Expo lo cogli con un sol sguardo. Senti a me, ascolta le chiacchiere dei lavoratori dei vari padiglioni (e relativi ristoranti!) piazzandoti nelle viuzze laterali e retrostanti. Gironzolando senza meta con le mani sprofondate nelle tasche ho captato stralci di conversazioni in lingue natìe e lingue franche (inglese, ma pure italiano) tra cuochi e hostess, facchini e account d’agenzia, diplomatici e allestitori di tutte le latitudini e longitudini. Come nelle nostre città, il cardo e il decumano son bellissimi (a Bologna il decumano è via Rizzoli/Bassi, ma il cardo non è via Indipendenza, bensì via Galliera), ma è nei vicoli e nelle stradine limitrofe che ci si diverte e si godono le gioie della diversità.

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politiké

La scoperta della cooperazione (ma pure dell’acqua calda)

Un mio pezzo su La Rivista. Roba di volontariato intellettuale.

Non sto a copiare il testo, chi ha fegato lo legga pure alla fonte diretta: è lungo come una messa ortodossa cantata. Spiego solo che la Fondazione Barberini mi ha chiesto un contributo di riflessione sulla cooperazione (continuo a pensare che devo scrivere per bene cosa sia una cooperativa, come ho detto già altrove) e le giovani generazioni. Come al solito mi sono fatta prendere la mano.

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giringiri

Lance libere a bomba contro l’ingiustizia

La mia passione per i badge ha del patologico: stavo evitando fosse sciupato dal costume bagnato. | Foto di @annetta80

Sono tornata al Freelancecamp. Sono tornata dal Freelancecamp. Un evento di altissima qualità e ad altissimo comfort. In cui il tasso di Quanto sei freelance? non si misura in partita IVA, perché è più una condizione esistenziale, trasversale alle generazioni e alle professioni: non siamo precari, siamo i pionieri di oggi. Elenco qui (con un eloquente rapporto di 5:1) quel che ho amato e quel che mi è dispiaciuto del Freelancecamp 2013, aspettando l’edizione 2014, ma anche il Romagnacamp di settembre (però: una quasiemiliana come me è tollerata?).

Mi è piaciuto del Freelancecamp:

Jedan. Lo speech con i capelli bagnati (ma non ditelo a mia mamma), in prendisole col costume sotto, e a piedi nudi.

Dva. L’alta qualità e l’incredibile varietà degli interventi. Il fisco del commercialista in incognito, la voglia di creatività di @decarola, le riflessioni sulla grande azienda di @spottino

Tri. Il gadget della crisi (e della resistenza alla crisi): le “mutande” di Simplycris, che però l’anno prossimo deve venire di persona a raccontarci un po’.

Četri. Lo storify a distanza di @etino fatto addirittura prima che l’evento fosse finito (da procrastinatrice perenne l’avrei fatto non prima di un mese dopo: quindi grazie!)

Pet. Il popo di @robyzante nella sua pancia: auguri a una donna straordinaria dalle inesauribili energie, tutte positive.

Šest. La logistica perfetta mia e di @alicebrignani per arrivare a Marina Romea alle 9,29 del primo giorno.

Sedam. Un invito a Torino da @maricler che non vedo l’ora di onorare.

Osam. L’ironia nascosta dietro la riservatezza di @samskeyti79, che da supertecnico ha spiegato i servizi di cloud molto meglio di tanti “divulgatori”.

Devet. L’ospitalità di @beppe142 e @annetta80 (Beppe, il sushi a Bo quando vuoi!).

Deset. Arrivare al Boca al mattino, fare subito una nuotata in visibilio e tutti a chiedere Ma hai già fatto il bagno?!

Jedanaest. La complicità senza soluzione di continuità tra freelance, piccoli imprenditori come @nicbonora e @marcobrambilla, e una cooperatrice come me (che sono piccola imprenditrice e libera professionista, e pure precaria ma confermo @mafedebaggis che si può vivere serenamente uguale).

Dvanaest. La passeggiatina nella palude al tramonto tra nugoli di zanzare belli unti di vape erbal.

Trinaest. Le battute di @gallizio, nonostante l’imbarazzo dovuto all’impossibile repressione delle risate (ci ho provato, giuro: e ci sto lavorando su).

Četrnaest. La consapevolezza condivisa che grammar matters (ma non c’era alcun borioso grammarnazi in vista).

Petnaest. La mia nuova sacra (ma laica) trimurti, con un Hvala! grande da qui a lì.

Non mi è piaciuto del Freelancecamp:

A. Non poter parlare con tutti, almeno due parole, almeno “Bello il tuo intervento, interessante la tua domanda”.

Be. Aver dimenticato un costume al Boca, che fessa.

Ce. Il mio intervento, che poteva uscire meglio. Ma attribuisco tutta la colpa all’eccessiva beltà delle altre presentazioni, quindi va bene così.

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