giringiri

Lance libere a bomba contro l’ingiustizia

La mia passione per i badge ha del patologico: stavo evitando fosse sciupato dal costume bagnato. | Foto di @annetta80

Sono tornata al Freelancecamp. Sono tornata dal Freelancecamp. Un evento di altissima qualità e ad altissimo comfort. In cui il tasso di Quanto sei freelance? non si misura in partita IVA, perché è più una condizione esistenziale, trasversale alle generazioni e alle professioni: non siamo precari, siamo i pionieri di oggi. Elenco qui (con un eloquente rapporto di 5:1) quel che ho amato e quel che mi è dispiaciuto del Freelancecamp 2013, aspettando l’edizione 2014, ma anche il Romagnacamp di settembre (però: una quasiemiliana come me è tollerata?).

Mi è piaciuto del Freelancecamp:

Jedan. Lo speech con i capelli bagnati (ma non ditelo a mia mamma), in prendisole col costume sotto, e a piedi nudi.

Dva. L’alta qualità e l’incredibile varietà degli interventi. Il fisco del commercialista in incognito, la voglia di creatività di @decarola, le riflessioni sulla grande azienda di @spottino

Tri. Il gadget della crisi (e della resistenza alla crisi): le “mutande” di Simplycris, che però l’anno prossimo deve venire di persona a raccontarci un po’.

Četri. Lo storify a distanza di @etino fatto addirittura prima che l’evento fosse finito (da procrastinatrice perenne l’avrei fatto non prima di un mese dopo: quindi grazie!)

Pet. Il popo di @robyzante nella sua pancia: auguri a una donna straordinaria dalle inesauribili energie, tutte positive.

Šest. La logistica perfetta mia e di @alicebrignani per arrivare a Marina Romea alle 9,29 del primo giorno.

Sedam. Un invito a Torino da @maricler che non vedo l’ora di onorare.

Osam. L’ironia nascosta dietro la riservatezza di @samskeyti79, che da supertecnico ha spiegato i servizi di cloud molto meglio di tanti “divulgatori”.

https://twitter.com/jetpack/status/341505445678153730

Devet. L’ospitalità di @beppe142 e @annetta80 (Beppe, il sushi a Bo quando vuoi!).

Deset. Arrivare al Boca al mattino, fare subito una nuotata in visibilio e tutti a chiedere Ma hai già fatto il bagno?!

Jedanaest. La complicità senza soluzione di continuità tra freelance, piccoli imprenditori come @nicbonora e @marcobrambilla, e una cooperatrice come me (che sono piccola imprenditrice e libera professionista, e pure precaria ma confermo @mafedebaggis che si può vivere serenamente uguale).

Dvanaest. La passeggiatina nella palude al tramonto tra nugoli di zanzare belli unti di vape erbal.

Trinaest. Le battute di @gallizio, nonostante l’imbarazzo dovuto all’impossibile repressione delle risate (ci ho provato, giuro: e ci sto lavorando su).

Četrnaest. La consapevolezza condivisa che grammar matters (ma non c’era alcun borioso grammarnazi in vista).

Petnaest. La mia nuova sacra (ma laica) trimurti, con un Hvala! grande da qui a lì.

Non mi è piaciuto del Freelancecamp:

A. Non poter parlare con tutti, almeno due parole, almeno “Bello il tuo intervento, interessante la tua domanda”.

Be. Aver dimenticato un costume al Boca, che fessa.

Ce. Il mio intervento, che poteva uscire meglio. Ma attribuisco tutta la colpa all’eccessiva beltà delle altre presentazioni, quindi va bene così.

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Eponimie

Volevo che questo spazio avesse un titolo corto e un sottotitolo lungo. Così è. E il titolo NON è più in inglese.
Allora l’ho spiegato in questa pagina che non è un post ma una pagina. Ché le pagine in questo layout sono in alto cliccando su quella inconcina con tre righe. | La foto è mia, niente di che come foto. Però Parigi è Parigi. E i ponti sono ponti.

bloggheggiando, fotine

Eponimie

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giringiri, smancerie

Figli e figliocci

Caro Piero,

ti diranno forse che vivi nella città più bella del mondo, ma sarà anche il posto dove ti chiameranno Pierò per sempre, fattene una ragione. Però a me è una vita che mi chiamano Biliàna, e sono sopravvissuta. Non è poi così male.

Sei nato da nemmeno ventiquattr’ore e ancora non mi sembra vero. Ero tanto contenta di vedere la tua mamma col pancione, non ci speravo quasi più. Ma averti visto –fuori programma– nelle prime ore della tua vita è stato il più bel regalo che potessi immaginare. Quindi grazie, di cuore.

Pesi poco più di tre chili e mezzo, sei lungo mezzo metro di tenerezza, e hai tanti capelli, proprio come l’ecografia aveva predetto. La tua mamma è radiosa, sembra che fosse pronta da sempre ad accoglierti, tuo papà è emozionato ma anche divertito dalle tue mille smorfiette e dai tuoi ministarnuti improvvisi (salute!).

Mi trovavo in queste aree francofone per un esame difficile, che è andato bene ma non so se abbastanza bene, lo saprò che tu sarai già cambiato un sacco, ci scommetto. Cambiate quasi a vista d’occhio, voi rospetti che spuntate fuori da corpi che mai diresti possano trasformarvi da girini in principi dagli occhi azzurri in qualche mese. E invece sì.

Sei nato che fuori Parigi era come Parigi raramente è. C’era un sole bello e il cielo terso, e la Senna scorreva gioiosa a pochi passi dal tuo ospedale, che ho lasciato ieri che ancora eri lì dentro al caldo, ma avevamo già capito che avevi voglia di vederci tutti e respirare questi profumi insoliti. Forse sei un novelty seeker pure tu, che ne sai? Magari pure a te non sembrerà mai di averne abbastanza, di questo mondo così sempre diverso e sorprendente.

Se le cattiverie e le brutture sono un prezzo da pagare per avere tante scoperte a portata di mano, caro Pierò, forse ne vale comunque la pena. Ci pensavo oggi attraversando questa metropoli da parte a parte per venire a vederti. Tante persone diverse sotto lo stesso cielo, tante storie e facce e credenze e stili, modi di vestire e pensare. Sono carini i tuoi concittadini. Un po’ stressati e frettolosi, ma carini, con un sacco di bambini da portare al parco e grandi borse per portarsi appresso un po’ del loro mondo in metropolitana.

Una volta –prima che tu fossi girino– tua mamma aveva scherzato dicendo Sarà senza dubbio uno zuccone che odia leggere e io mi dispererò. (Scherzava, eh.) Non so come sarai. Però ti auguro che potrai essere come vorrai. Non ho aspettative su di te. Non spero che ti piaccia la montagna, anche se sarebbe bello arrivare al Lago di Pilato un giorno assieme; né che diventi astronauta o chef stellato. Spero tanto che potrai essere un bambino sereno, con un’infanzia piena e goduta giorno per giorno, attimo dopo attimo. Spero –egoisticamente e mi scuso– di poterti vedere qualche volta all’anno, anche se siamo lontani e anche se sono così capra da non sapere una parola di francese. Ma tu mi aiuterai, vero?

Ti auguro di crescere impegnato e responsabile, ma di buon carattere e positivo, perché ci pensa già il mondo attorno a essere piuttosto negativo, talvolta, e acido come la crème fraîche.

Ho assistito all’incontro dei tuoi genitori (senza accorgermi, fessacchiotta, che era stato amore a prima vista), ho celebrato le loro nozze con il tricolore sul petto e una piuma bianca in testa (sulla piuma chiedi chiarimenti a tuo papà), e poi ero loro tra i piedi quando tra una contrazione e l’altra c’erano solo quattro minuti, ed è stato chiaro che non si trattava di un falso allarme. Insomma, sono stata un cupido petulante e invadente senza volerlo. Però è tutto nato da tanto amore che provo per i tuoi genitori, e ora anche per te.

Perché ti amo da quando ho saputo che c’eri, nascosto nel suo corpicino flessuoso e luminoso: nonostante tutte le difficoltà e la fatica e le paure. Benvenuto Piero, con l’accento.

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Parto per un compito difficile. Sono contenta. Sono tranquilla, anche. Sono pronta: sono quasi pronta. Mi pare di non meritare il sostegno, l’incoraggiamento, l’affetto di chi mi sostiene, mi incoraggia, mi ama. Tutto ciò è forse immeritato, ma molto commovente.
La foto è della @biljaic di un anno quasi esatto fa.

fotine, giringiri

Prekosutra

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parole parole parole

E se chi non ha passioni le avesse tutte?

Mi piacciono poco le cover, le rielaborazioni, gli omaggi. (Che brutta parola, “omaggi”.) Però io questo post ogni tanto lo apro, lo scorro, poi lo leggo attentamente. Lo riapro settimane dopo e ne leggo solo pochi familiari stralci. Lo ricordo, lo medito. Insomma, mi piace. E ho capito che mi piace perché mi descrive solo in parte, perché è uno di quei meravigliosi testi aperti che leggi e nel frattempo “scrivi” anche. E allora lo riscrivo davvero, e che l’autore mi perdoni. (Conto sulla sua mangnanimità.)11264535_656170934527791_2011673127_n

Spesso dico agli altri di avere tutte le passioni, e loro non ci credono. Ma è, in un certo senso, vero. Da piccola avevo già in nuce questa cosa e un po’ ci soffrivo: tutti i colori mi sembravano avere una propria dignità e non ne avevo uno preferito, le domeniche erano tutte diverse, perché a fare sempre la stessa cosa –pure divertente– mi pareva di rivivere il giorno della marmotta e comunque di perdere qualche occasione. La bici era un mezzo di trasporto perfetto per esplorare la nuova città dove ci eravamo appena trasferiti, ma come farne una passione assoluta se i rollerblade erano altrettanto divertenti?

Il primo scooter che mi comprò papà senza che lo dovessi neanche chiedere (perché superare il pudore di chiedere qualcosa per me comportava un trasporto verso l’oggetto in questione che quasi mai provavo) era un modo per andarsene un po’ più lontano e caricarci un’amica o un amico (con il motorino sempre in due, cit.): mi piaceva da matti ascoltare i discorsi degli amici sulle modifiche alla marmitta e il rischio che lo scooter grippasse, ma poi non facevo le modifiche e dimenticavo di mettere l’olio e quindi grippavo, perché passare dall’ascolto all’azione mi distraeva da tante altre passioni che avrei nel frattempo potuto sperimentare.

Compravo Archeologia viva (non ridete, su: ché non sta bene), mi piaceva moltissimo, ma ho smesso perché avrei comprato anche Letteratura viva, Geografia viva e Biologia viva, se fossero esistite.
Guardavo tanto sport, dal vivo e in televisione sul divano con papà. La pallamano, ma anche il basket, ma anche la pallanuoto. E poi i mondiali e gli europei di atletica: lo sport di tutti gli sport, non a caso.

Amavo e amo la musica, ma andavo a vado in crisi alla domanda “Qual è il tuo gruppo preferito?”, solo che ora non rimpiango più il tempo che dedicavo attivamente a cercare di saperne qualcosa, dei nuovi gruppi e dei loro dischi. Oggi ho imparato a liberare spazio mentale per nuove passioni seguendo i consigli degli amici che ne sanno di più, Massimo e @Stipe81 su tutti: a loro va la mia stima sempiterna. Regola: quello che ti procuri sfruttando gli amici nerd (e si può essere nerd di qualunque cosa, cit.) non è una passione.

La passione è spesso un po’ anche possesso, io pure la vedo così: e io il senso del possesso non ce l’ho e non mi piace. Per esempio, siccome non sono appassionata di auto, la macchina è un peso economico e burocratico, non una goduria emozionale come mi vuol far credere lo spot. E siccome sono ambientalista (sì, ho la passione per l’ambiente: ho anche la passione dell’ambiente), l’auto mi sta anche un po’ antipatica a prescindere, quindi “goduria emozionale” un corno.

Non faccio collezioni di nessun tipo, da piccola invidiavo chi finiva gli album di figurine (i miei si fermavano sempre al 33%), chi riempiva scatole intere di tovaglioli di carta (noi bambini semplici della SFRJ facevamo collezione di tovaglioli di carta, sì: ma erano davvero delle piccole opere d’arte), chi manteneva un costante interesse verso monete, francobolli, paciocchini e tartallegre. Il mio amatissimo cugino Goran, per esempio, aveva delle passioni brevi e fulminanti, ma totalizzanti. Magari duravano un anno o un semestre, ma in quei mesi non vedeva altro e non parlava d’altro. Io le adottavo come fossero mie, ma mentre lui si abbuffava io spiluccavo qua e là, in base ai bocconi che selezionava per me. Per questo conosco tante costellazioni ma non tutte le costellazioni; per questo ho letto I draghi del crepuscolo d’autunno ma non le trilogie successive di Dragonlance.

Non potrei mai fare una startup, comincerei a osservare le startup degli altri, credo. E a voler fare una startup in qualunque settore industriale immaginabile. Faccio molte foto su Instagram, da quando ho il telefono intelligente, ma non sono appassionata di fotografia: parlatemi di diaframma e obiettivi e vi ascolterò con sincero interesse; ma se dopo un mese mi chiedete Allora, hai comprato un 600mm f4? vi dirò che non ho avuto ancora tempo di guardarci…

È difficile vivere così, apparentemente. Ma con il tempo, ho scoperto che la mia unica passione totalizzante è collezionare passioni, specie osservando e immedesimandomi in vario modo nelle passioni degli altri. Spesso solo per un breve periodo. Quando ho lavorato in una grande impresa della GDO (super e ipermercati, una roba apparentemente pallosissima) mi sono appassionata senza sforzo alcuno al lessico specifico che usava la mia capa, responsabile dell’ufficio ricerche di mercato. Testa di gondola, promo a punto vendita, freschi e freschissimi, petfood.

Il trucco, l’ho scoperto strada facendo, era lasciarmi trasportare da questa naturale propensione ad assorbire nuove nozioni, nuovi linguaggi, altri microcosmi. È appassionante osservare come gli altri si appassionano a sfilze di definizioni per me inizialmente senza senso e di come a poco a poco ci entro dentro e ci sguazzo. Per un po’ e solo per un po’, si capisce.

Al lavoro, anche incontrare i responsabili marketing che ideavano le promozioni era interessante: per loro, davvero le persone avrebbero con gioia speso 250 euro nelle prime due settimane del mese o fatto almeno 8 spese diverse, e si sarebbero poi ricordate di fare la spesa sfruttando lo sconto del 10% nelle due settimane successive. Finivo quasi per crederci, in riunione (poi buttavo tutti gli appunti e riprendevo una certa sanità mentale, ovvio che la gente voleva il 3×2 o lo sconto immediato del 30% su alcuni prodotti, non segnare sul calendario sia quante volte andava a fare la spesa sia quando avrebbe potuto usufruire dello sconto 10).

Poi il grande vantaggio di avere tutte le passioni e quindi di non averne alcuna era avere tempo: non ho mai dovuto autocensurarmi nell’uso di videogiochi, libri, film, serie tv, perché non esagero mai, le abbuffate mi terrorizzano. Una maratona per finirmi tutte le stagioni di Breaking bad in una settimana non fa per me, tante tante attività interessanti si possono sperimentare tra una stagione e l’altra. I miei cari amici parigini sospiravano tra una uscita e la successiva di Harry Potter, mentre a me piaceva usare quell’annetto tra un volume e l’altro (in english, of course) per leggere tonnellate di classici, gialli, saggi, fantasy, romanzi storici, epistolari, di viaggi, russi, americani, tedeschi, francesi. E però amo ascoltare chi legge solo libri di storia della Seconda Guerra Mondiale, davvero. Ascolto e vivo per un po’ anche questa passione. Non è per piaggeria, e non è una posa. A me interessano davvero le passioni degli altri.

Oggi che coordino progetti di comunicazione negli ambiti più disparati questa caratteristica è un bel vantaggio: c’è tanta passione in giro, molta di più di quanta ne potrei avere io direttamente. E io la assorbo. Ascoltando e leggendo le persone di cui ho stima mi sono ritrovata spesso a essere early adopter mio malgrado, e spesso del tutto inconsapevolmente. Ho fatto la mia prima chiamata VOIP attraverso l’antenato di Skype MediaRing nel lontanissimo 1999, su consiglio di amici già invaghiti di internet. Mi parlavano di protocolli e trasmissioni di bit e io sì sì, ma in realtà mi concentravo su di loro, poco badando a bit e byte. Loro erano appassionanti. Le persone sono appassionanti. Le passioni degli altri sono appassionanti (anche nel percorso che porta a capirle veramente). Le proprie passano, sono legate alle cose, sono effimere. E il bello, per me, è consumarle tutte, non farmi consumare da una in particolare.
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Le origini

Sono nata qui. | foto di @LallaMcFly

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