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Il signor Rossi e i social network

Questo articoletto è appena uscito su un giornaletto (si chiamano house organ, termine che mi fa sempre riderissimo) che Granarolo diffonde tra i propri soci allevatori e non solo. Il pezzo è una specie di Social network for dummies, e per me il più adorabile dei niubbi è un personaggio di Bruno Bozzetto, ispiratore di questo “mio” signor Rossi (l’immagine è tratta da shop.bozzetto.com).

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Il signor Rossi legge il Corriere da quando era un soldo di cacio. Da quando era un lenzuolo enorme, tutto grigio e nero. Da qualche tempo le pagine ormai colorate del Corriere si sono riempite di uccellini azzurri, e di virgolettati che riportano questa o quella dichiarazione di un politico –dichiarazione persino più sgrammaticata del solito– e che nella didascalia recita Panco Pillo ieri su Twitter, oppure Caio Tizio sulla sua Pagina Facebook.

Il signor Rossi è stato un soldo di cacio un bel po’ di anni fa, e non sa tanto usare il computer. Sa che c’è internet, gli piacerebbe poter magari avere accesso diretto alla sua cartella sanitaria (“Basta andare online e inserire la password” ha scritto il Direttore del CUP Emilia-Romagna sul suo profilo Twitter: il signor Rossi lo ha letto sul Corriere). Gli piacerebbe anche comprare i biglietti del treno su internet, ma gli ha detto sua nipote che l’interfaccia non è molto user-friendly. E di sua nipote si fida. Il signor Rossi non ha tanto capito Facebook, invece. E soprattutto non ha capito perché il Corriere è pieno di Facebook, o di Twitter. Che c’entra? Durante gli eventi grossi, come elezioni, disastri stradali, delitti particolarmente gravi, le pagine del suo giornale di sempre si riempiono anche di commenti da parte di gente mai sentita. Gente comune, immagina il signor Rossi, ma non ne è certo. La televisione non la guarda più come un tempo, magari sono attori famosi di oggi di cui lui non sa…

Un giorno arriva nella piazza del suo paesello il camper di Pane e internet. Una ragazza simpatica dell’età di sua nipote gli lascia un depliant e gli spiega che si tratta di un programma regionale cofinanziato dall’Unione Europea per insegnare a tutti l’uso del computer e di internet. E perché no? pensa il signor Rossi. E si iscrive. Gli insegnanti di Pane e internet sono bravissimi e tre settimane dopo il signor Rossi sa aprire e chiudere le finestre e sa navigare sui principali siti. Quando ha comprato un biglietto al teatro dell’opera facendo quasi tutto da solo è stato contentissimo.

Negli ultimi due incontri in aula hanno parlato di social network ed è stato particolarmente attento. Ha capito che di base sono siti come altri, ci si arriva digitando la URL nella barra del browser o cercando su Google come per il sito dei treni o il sito del teatro dell’opera. Solo che dopo una volta “dentro” non si è solo lettori, si è anche attori. E scrittori, fotografi, registi, commentatori. Dilettanti o professionisti, secondo le proprie capacità. Al signor Rossi questo sembra molto democratico, e ora finalmente capisce tutti quei commenti sul Corriere. Alcuni sono di politici, altri di attori o giornalisti (giornalisti sul giornale, ma attraverso Twitter), altri di persone come lui che “tuittano” o “postano” sui social network. Ci sono molti più tweet (tuit?) che commenti da Facebook perché Twitter è una piattaforma aperta, che tutti possono leggere (tranne i profili chiusi che hanno un lucchetto virtuale, ma sono pochi). Si possono cercare persone, giornali, persino aziende. Il suo teatro preferito ha un profilo Twitter: chi lo cura mette le notizie sulle opere in calendario e poi rilancia (rituitta) i commenti degli spettatori (ma solo quelli positivi, nota il signor Rossi). Guardare il flusso dei tuit è molto interessante, ma in qualche caso è un peccato non poter partecipare. È come andare a una bella festa e non parlare con nessuno, limitandosi a origliare le conversazioni degli altri, che sembrano divertirsi un mondo.

Allora il signor Rossi chiede –un po’ timidamente, a dire il vero– a sua nipote se lo aiuta a farsi un profilo Twitter. Sua nipote –che è una ragazza davvero in gamba– gli dice Certo! riuscendo anche a nascondere del tutto ogni moto di sorpresa. All’inizio il signor Rossi è un po’ spaesato. Sul Corriere i tuit ormai onnipresenti sono fermi e statici come tutto il resto del giornale. Dentro Twitter, invece, tutto è in perenne movimento. La timeline, che è il flusso di tuit delle persone che il signor Rossi ha scelto di seguire con l’aiuto di sua nipote, scorre lenta ma inesorabile, aggiungendo uno o due nuovi tuit ogni minuto che passa. Le voci si susseguono, e bisogna pazientare prima di ambientarsi. Ma poi il signor Rossi inizia a riconoscere di chi è un nuovo tuit già solo dalla profile pic, la foto che ciascuno si può scegliere, e che identifica l’utente assieme al nome e cognome (anche se non tutti mettono il nome e cognome) e all’account, che deve essere univoco ed è preceduto da @. Con questo stesso simbolo si può conversare con altri utenti, menzionandoli. Così il signor Rossi s’è arrischiato a chiedere @teatrorossini la data di apertura delle vendite degli abbonamenti per la nuova stagione operistica. E @teatrorossini gli ha risposto dopo neanche 3 ore, con l’informazione che aveva chiesto e un sorriso fatto così :-)

“Quasi più facile che mandare una email” ha pensato il signor Rossi, che dopo Pane e internet ha la sua Gmail e sa mandare, ricevere e rispondere alle email. Per ora su Twitter scrive poco, ma legge tanto, così familiarizza con tono e stile del mezzo (caspita: 140 caratteri sono pochini, ma se ne riesce a dire, di roba!). Gli piace molto che la profile pic del suo teatro preferito sia un ritratto a olio di Rossini. Quando legge i tuit del teatro sembra quasi che a invitarlo alla prossima opera sia il compositore in persona! A parte il teatro e la biblioteca della città, segue molta più gente comune interessante che persone famose. Per esempio, tanti giornalisti del Corriere hanno un profilo Twitter, ma non li segue certo tutti. Li legge già sul cartaceo! Piuttosto, legge con piacere alcuni commenti di altri utenti sugli articoli che legge la mattina. Alcuni sono illuminanti quasi più dell’articolo stesso. Quegli utenti gli sembra quasi di conoscerli da sempre…

Dopo l’affettuosa sollecitazione di sua nipote, ha aperto anche un suo profilo su Facebook. Non ha tanti amici, ma non importa. Ha capito da sua nipote che è meglio accettare amicizia solo da chi si conosce davvero, almeno all’inizio. L’aspetto bello di Facebook è che gli si apre una finestra sulla vita giapponese dell’altro suo nipote, che fa l’Overseas. È bello sfogliare gli album di foto in cui mangia con le bacchette con tanti amici, sia asiatici sia europei, nella mensa del campus. Il signor Rossi si sente tanto orgoglioso, ed è contento che sia stato suo nipote a chiedergli l’amicizia. Lui non avrebbe osato per paura di disturbarlo. Quando una foto è proprio simpatica, il signor Rossi s’azzarda anche a mettere un Like alla foto o a fare un commento. E gli amici italiani di suo nipote ogni tanto gli rispondono Grande signor Rossi! :-) e lui non ha per niente la sensazione che lo stiano prendendo in giro. Gli sembra quasi di conoscerli più adesso che si incrociano su Facebook che quando li vedeva in giro con suo nipote prima della partenza per il Giappone.

Dopo qualche mese sui social network, al signor Rossi non sembra per niente che questi mezzi di comunicazione allontanino le persone. Certo, gli piace ancora andare al bar con gli amici di sempre e a teatro con la signora Rossi. Ma è bello anche leggere i commenti sull’opera della sera prima da parte degli utenti di Twitter con cui condivide la stessa passione, e seguire gli spostamenti di suo nipote in Giappone e mettere Like quando scrive sulla sua bacheca Primo esame tutto in inglese: A+! Un solo aspetto non gli è ancora chiaro. A lui quei tuit sul Corriere cartaceo continuano a non aggiungere niente rispetto alle notizie che ha sempre letto sul suo giornale. Da quando era un soldo di cacio.

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Social network per tutti

Piccolo glossario per togliersi qualche legittimo dubbio

Facebook | È il social network per eccellenza. Il più famoso, il più usato, il più trasversale. Ogni persona ha un profilo, identificato con nome e cognome. Nel proprio spazio si possono scrivere (postare) pensieri, riflessioni, accompagnandoli da proprie foto e video, che saranno visibili ai propri amici o a tutti (in base alle impostazioni della privacy, cui è bene dedicare un po’ di attenzione).

Pagina Facebook | Le aziende, i comuni, le associazioni, ma anche i teatri e le biblioteche non possono (e non devono!) avere un profilo Facebook (che è riservato alle persone in carne e ossa) ma possono aprire e gestire una propria pagina, dove segnalare le proprie attività, promozioni, o anche concorsi a cui possono partecipare gli utenti “persone”, appunto. Mettendo un Like alla pagina, gli utenti si “abbonano” alla pagina stessa e quindi accettano di ricevere gli aggiornamenti nel proprio flusso di informazioni su Facebook (simile alla timeline di Twitter), esattamente come leggono i post dei propri amici. L’operazione è facilmente revocabile: un Like non è (per forza) per sempre!

Twitter | È anche un social netowork, ma non è solo. È un sito di microblogging in cui gli utenti compongono una sorta di racconto collettivo della realtà, usando al massimo 140 caratteri per volta. Gli utenti lo usano sì per socializzare, ma soprattutto per segnalare, condividere e rilanciare contenuti, tramite link esterni e hashtag navigabili sulla stessa piattaforma. Questa modalità d’uso che si è definita nel tempo configura Twitter come un vero e proprio social medium.

Instagram | È un social network “visivo” (di fotografie, e da qualche mese di video). Instagram è anche (e prima di tutto) un’app con cui dallo smatphone si possono scattare foto in diretta o prenderne una dal proprio archivio e ritagliarle in formato quadrato aggiungendo effetti speciali con i filtri che hanno reso famoso questo strumento. In teoria si possono tenere le proprie foto “instagrammate” per sé mantenendo privato il proprio profilo, ma il bello è condividere le proprie foto alla ricerca di cuoricini da parte degli altri utenti (che possono poi anche segliere di seguirti, come su Twitter).

Online/offline | Per online si intende comunemente ciò che accade sul web. Un servizio online è un servizio cui il cittadino/utente/consumatore può accedere da internet. La banca online ti può far fare un bonifico online, esattamente come allo sportello. Posso prenotare un libro (cartaceo, ma anche un ebook, ossia un libro elettronico) dal servizio online della mia biblioteca di quartiere. Qualche volta, gli esperti di internet dicono che è sempre più forte l’integrazione tra mondo online e quello offline, intendendo con quest’ultimo la vita reale “in carne e ossa”. Suona un po’ bizzarro, ma l’importante è continuare a cogliere tutte le opportunità che internet ci offre per vivere meglio, sia quando siamo online sia quando non lo siamo.

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La mia breve vita con Android e senza app

Ho sempre fatto esperimenti psico-antropologici su me stessa. Ora potete leggerne gli strampalati risultati sul Most blog: che fortunati, che siete!

tweetbot1_313x313È successo che banalmente mi s’è rotto il tastino di sopra del mio banale iPhone 4S* (preso in abbonamento con 3 quasi due anni fa). A quanto pare il tastino di sopra (che serve a spegnere l’aggeggio) si rompe spesso, almeno a giudicare dalle millemila segnalazioni sul web.
È successo che banalmente io dello smartphone non voglio fare a meno (posso, ma non voglio): non per il telefono, lo sapete bene che non rispondo quasi mai, ma per internet. E non ho ancora un tablet mio. E quindi mi seccava stare 10/15 gg senza. Perché –banalmente– la 3 se lo tiene 10/15 gg in assistenza, che mi paiono tanti.
È anche successo che straodinariamente sono andata a Pisa per l’Internet Festival, come membro del Social Media Team, e non era il caso di restare senza smartphone in quella occasione, proprio no. Quindi per un paio di mesi mi sono arrangiata con questa modalità alla fine neanche troppo scomoda: una palletta vagante sullo schermo.

Poiché però fino a dicembre l’iPhone è in garanzia e vale la pena risolvere il problema in modalità un po’ meno bricoleur, mi sono ingegnata per trovare una soluzione temporanea.

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È successo che straordinariamente (anzi, banalmente) mia sorella ha lasciato l’Italia per un po’, portandosi via il suo iPhone ma lasciando qui il suo abbonamento. Allora ho preso uno smartphone qualsiasi –un LG con Android preso a caso su eprice– per trasferire l’abbonamento. Ma prima di passare telefono e piano inutilizzato al nuovo proprietario, mi sto tenendo l’aggeggio con la mia SIM dentro in attesa che 3 si spicci a fare quello che deve fare (ossia: darmi un iPhone nuovo; e allora perché si tengono il vecchio due settimane? Disgraziati!).

Poche cose ho da dire sul mio temporaneo Android. Se non che è brutto, davvero brutto. Esteticamente, dico. Ma anche a livello di usabilità. Volete convincermi del contrario? Provate, se volete, nei commenti. O invitatemi per un tè.

Invece mi sta piacendo verificare il mio rapporto con le app. Quali mi mancano? Di quali posso fare a meno? Di quali abuso? Non sto infatti a scaricarmi le app su un telefono a scadenza, non ne vale la pena (per me). Quindi eccole, commentate in ordine un po’ random un po’ no.

tweetbot3_313x3131. Tweetbot

L’unica app che ho scaricato su ‘sto coso è quella di Twitter. Perché la voglio. Non sono stata a comprare Tweetbot per Android per 10 gg. Anche perché NON ESISTE. Ma mi manca. Perché è bello, perché è logico, è usabile molto più della app “ufficiale” di Twitter. Tweetbot über alles. Se avete Apple, compratela, scaricatela, amatela, questa app.

2. Whatsapp

A quanto pare senza Whatsapp non s(appiam)o più stare. Era l’unica altra app che volevo mettere, anche solo temporaneamente. Ma dopo averla installata e disinstallata per motivi non importanti, rifiuta di re-installarsi nell’LG. Per i più nerd, il messaggio che compare è: Authentication is required. You need to sign in to your Google Account. Ma poi non mi fa fare niente. Ed è un mistero, perché tutte le altre app –gratuite e a pagamento– le scarica senza problemi.

3. Instagram

Le mie fotine quadrate bruttarelle un po’ mi mancano, confesso.

4. Gmail

La Gmail c’è di default anche su Android. Ma è molto diversa da quella per iOS, fulgido esempio di bellezza e usabilità: la combinazione perfetta. Questa qua è imparagonabile e insufficiente. Per me.

5. Pocket

È il mio strumento per salvare e poi catalogare tutte le cose belle che trovo sul web. È di una bellezza che ti fa cantare. Se salvi un link da Twitter, ti salva anche il tuit relativo, così ti ricordi al volo chi ha suggetito la lettura di quella pagina, quando è perché. Ogni volta che postate qualcosa di interessante su Twitter mi prudono le mani dalla voglia di mettere il link “in tasca”: non vedo l’ora di riaverla.

6. Songkick

Non apro questa app spessissimo. Anche perché mi rifiuto di impiegare del tempo a scovare i concerti a cui voglio andare (ci pensano già e me li segnalano opportunamente amici così carini che ho già ringraziato più e più volte). Però è bellissima (nell’uso e nell’apparenza) e la apro per salvare concerti di cui sono stata informata e che voglio quindi tenere riassunti su questa app da bacetti.

7. [mini]marketing

Il blog di Gianluca Diegoli, che leggo da molto prima di avere la fortuna sfacciata di conoscere di persona l’autore, è più sensato leggerlo da schermo grande, ossia dal mio Mac* fisso dell’ufficio o di casa. Però se per caso voglio pregustarmi le prime righe del nuovo [mini]post di cui leggo su Twitter –ormai è un vezzo!– chiudo Tweetbot e apro la [mini]app. Che lusso. Mi manca.

8. Solar

Non so se questa app meteorologa “ci azzecchi”. Fatto sta che è così “poco ingegneristica” (non si offendano gli ingneneri, amo molto gli ingegneri: ho le prove!) che è uno spettacolo immergersi in quelle gocce che cadono dallo/sullo schermo, dappertutto. A volte la apro solo per sbirciare questi effetti. E mi scordo di vedere che tempo farà.

9. Shazam

Ecco, questa non è che proprio proprio mi manchi. La uso, è utile. È la app di quando il titolo della canzone ce l’hai sulla punta della lingua, ma non riesci a leggerlo. Solo che quando la uso in auto d’istinto mi viene da puntare il telefono verso l’autoradio, mica verso le casse. E vengo puntualmente presa in giro per la mia dabbenaggine. Quindi a 10 giorni senza Shazam sopravvivo, dai. Piuttosto, quand’è che inventate un riconoscitore di specie botaniche? A me e alle mie amiche serve per quando andiamo in montagna. Su, su: ingegnarsi.

10. WordPress

Non uso la app di WordPress per scrivere i post col telefono: bisognerebbe proprio essere masochisti, per farlo! Ma è fatta da dio e ci controllo i commenti, per rispondere al volo se sono fuori. A volte –confesso– sbircio anche le statistiche. Che dire, grazie di cuore ai miei venticinque meravigliosi lettori.

* Non sono una Mac maniaca. I prodotti Apple (non tutti: iTunes e Safari fanno schifo) sono funzionali e belli. Banalmente.

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